La "fotografia animata" era uno spettacolo similcircense, dopo essere stata una curiosità, e il cinema foraneo ebbe lungamente il suo pubblico: in una fotografia d'inizio secolo accanto alla mole della torre di Porta Vittoria spicca il Cinematografo ambulante di Philippe Leilich, tra i primi a montare il tendone a Como nel periodo della fiera, protraendo le proiezioni ben dopo Pasqua, seppure costretto nel primo decennio del Novecento alla concorrenza di fino ad altri tre rinomati padiglioni.
Le luci multicolori, le invenzioni scenografiche di ingressi dalle ambizioni monumentali («la facciata del cinematografo tutta bianca e oro con due statue di legno verniciate e tirate a lucido» riferisce "La Provincia" per la Pasqua del 1902), il suono di solenni organi «sormontati dalle numerose figurine meccaniche che scandivano col braccetto petulante impetuose melodie verdine e rossiniane»: gli imbonitori del cinema non lesinavano sugli elementi di richiamo, quanto al programma le macchine da presa avevano presto cominciato la loro conquista del mondo e le riprese dal vero competevano con i film d'invenzione con pari capacità di sorprendere.
Tra i baracconi della fiera di Pasqua, dunque, il cinema aveva spazio accanto alle giostre e ai serragli (i cronisti del tempo registrarono il rischio che i lupi finissero "arrosto" quando un principio d'incendio si sviluppò, incidente niente affatto raro, nel limitrofo padiglione cinematografico), ma mostrandosi inesauribile nella promessa di un repertorio sempre di «quadri nuovissimi». Si sa che gli emissari dei produttori non esitavano a brandire la macchina da presa tra la gente: che fosse scarica nessuno lo sapeva, mentre qualcuno non avrebbe esitato a comprare il biglietto nella tacita speranza di rivedersi sullo schermo, tanto più che non erano mancati quadri d'attualità, anche girati a Como. Il posto fisso dei padiglioni del cinema alla fiera di Pasqua a inizio secolo diventò un posto d'onore, anche per la loro imponenza: non dovevano sfuggire all'attenzione di nessuno e trovavano puntuale nota sui giornali. Nei giorni della fiera del 1900 "La Provincia" scrive che «anche il cinematografo ha attirato un buon numero di visitatori: i quadri sono nitidi e variano continuamente»; non solo: «vi è pure il Mutoscope che agiva all'Esposizione Voltiana, un piccolo cinematografo che si muove mediante manovella». E un anno dopo si annuncia la costruzione «accanto alla Porta Torre di un cinematografo grandissimo che si servirà dell'elettricità della nostra officina comunale» e che in tempi successivi avrebbe attirato «molta gente anche in grazia di una potente luce elettrica bianca che gli faceva intorno il chiarore solare», oltre che annunciando «la grande proiezione lunga 600 metri, la più grande finora eseguita e che rappresenta Giovanna d'Arco, la Pucelle d'Orléans».
Al cinema da fiera i comaschi trovavano un incentivo ulteriore ai luoghi nei quali il cinema cominciava a diventare stanziale. In città aveva fatto la sua comparsa per tempo, a un anno circa dall'invenzione dei fratelli Lumière, ma come evento, diremmo oggi, perciò eccezionale: non per niente l'aveva accolto l'atrio del Sociale e anche il teatro Cressoni si sarebbe adeguato con proiezioni occasionali, seppure appropriate: per la Pasqua 1907 presenta una "Passione di Cristo" notevole tanto per metraggio quanto per la colorazione dei fotogrammi. Ma è in fiera che l'attrazione si avverte come tale. Ce n'è memoria in una pubblicazione della Famiglia Comasca dove un testimone riferisce che «si vedeva un film Pathè intitolato "La fuga dei meloni". Un ortolano trainava una carrettella, carica di meloni. Ad un tratto il carretto si rovescia e tutti i meloni rotolano giù in terra. Grandi gesti di disperazione del fruttivendolo. Ma ecco che tutti i meloni continuano a rotolare e ritornano sul carretto raddrizzato! C'era un altro film, anch'esso molto breve, che seguiva il primo, ed era intitolato "Una pesante digestione". Un grassone a tavola mangiava avidamente ogni ben di Dio, poi si addormentava. Sognava: ed era ributtante vedere enormi bruchi, o vermi uscire da enormi panettoni, e grandissime formiche, ed ogni tipo di insetti che disturbavano il sonno del grassone».
A giudizio dello spettatore medesimo «erano, per allora, bei film e il baraccone rigurgitava di gente». Ad ammaliare gli spettatori - che dapprincipio si precipitavano in prima fila, salvo scoprire che dagli ultimi posti si vedeva meglio - contribuiva l'inserviente in divisa che davanti al padiglione «lanciava in alto un bellissimo arlecchino colorato, pieno di gas, e lo riprendeva poi per lanciarlo in alto ancora». Fu il tempo di maggiore fortuna del cinema ambulante, nella seconda metà degli anni dieci, che a Como celebrava il suo trionfo nella fiera di Pasqua.
Poi il cinematografo stabile cittadino trovò collocazione in uno stanzone che s'aprì nella parte posteriore del Teatro Sociale, con ingresso dall'Arena. Non l'unico: una sala in via Garibaldi «con pretese d'eleganza», un locale in piazza del Duomo, un altro in via Giovio avrebbero reso sempre più stentata la presenza dei baracconi dei "cinematografisti" fieraioli. Fino all'arrivo della prima sala espressamente destinata al cinema: giusto cent'anni fa, nel 1912, sorse il Moderno. Malauguratamente, dopo una non lunga stagione con l'insegna Plinio, non sarebbe arrivato al secolo e ormai si confonde con la memoria degli avventurati pionieri dell'esercizio cinematografico comasco.
Bernardino Marinoni
© RIPRODUZIONE RISERVATA