La buona notizia finalmente c’è: i tedeschi non ci hanno tradito.
Con i portafogli gonfi grazie ad un’economia che tira e che promette per il 2012 una crescita del pil dell’1% e la prevede addirittura al +2,4% nel 2013, i cugini d’oltralpe si confermano veri amanti delle bellezze di Como e del Lario come ribadiscono i primi bilanci dell’attesissimo ponte pasquale.
Notizia tutt’altro che scontata vista la concorrenza spietata di altri paesi europei sui prezzi, Spagna in primis. E se frau Merkel torna a proporsi come un’affezionata dei dolci paesaggi di Ischia e della costiera amalfitana, molti suoi connazionali continuano ad essere attratti dalle quiete atmosfere del Lario e dal fascino di Como. Come loro anche gli inglesi, che da un paio d’anni sono tornati in gran numero e gli americani sempre più numerosi e non più solo grazie all’effetto Clooney. Cominciano pure a non essere mosche bianche i turisti con i tratti asiatici. La speranza è che siano solo un assaggio delle frotte di cinesi che la Lombardia e gli operatori turistici comaschi sperano di intercettare in occasione dell’Expo 2015. Per attrezzarsi albergatori e ristoratori in autunno inizieranno corsi di mandarino e di cultura cinese, il modo più intelligente per approcciare la nuova clientela che pare abbia abitudini parecchio diverse dalle nostre. Coccolarli e non spennarli, sembra finalmente essere la parola d’ordine del nuovo modo di fare turismo anche da noi.
Il paradosso è che i primi a stupirsi di tanto stupore per la bellezza che Como può offrire a un visitatore non distratto sono gli stessi comaschi, ormai assuefatti a considerare inesorabile il declino della città iniziato il giorno, ahimè della prima picconata per rifare il lungolago.
Nessuno ormai ricorda più l’esatto momento in cui dietro il muro delle paratie è stata brutalmente menomata la veduta famosa nel mondo. Tutti hanno dimenticato il giorno in cui l’incuria in cui molto spesso versano le aiuole pubbliche e le strade del centro storico hanno smesso di creare indignazione. Piano piano, tutto è diventato "normale". Ci si è abituati a spiare il lago dagli oblò; a camminare nella strade sporche dell’area pedonale dribblando macchine e furgoncini; a convivere con gli eterni cantieri che disseminano il centro storico.
Forse un po’ di stupore in meno e un po’ di amor proprio in più non guasterebbe in questo momento ai comaschi. Così come pretendere da chi li andrà a governare tra poco più di un mese di considerare il valore economico capace di generare questa città. Non si parla solo dei conti degli alberghi o degli scontrini di bar e ristoranti. Per carità, anche questo è business. Ma il vero tesoretto è il valore del brand "Como", un marchio esportabile in tutto il mondo che nemmeno gli scempi ambientali degli ultimi anni e la profonda crisi del tessile sono riusciti ad affossare.
Nel suo piccolo, Bellagio lo ha capito da tempo e non è un caso che oggi può vantare centinaia tentativi di citazione con gran soddisfazione dei bellagini che di turismo ci campano tutto l’anno.
Ora, nessuno s’illude che il turismo sia la panacea di tutti i mali, che nel giro di dieci anni i paesi lungo la Regina si trasformeranno in una sorta di mini riviera Romagnola capace di competere con le principali località del Garda. Non è questa la vocazione di Como e del suo lago. Quello che c’è da spendere sul mercato globale è la natura fiera e selvaggia che certi angoli ancora riescono a rivelare o quel misto di glamour e cultura che molti appuntamenti internazionali che si svolgono a Como e dintorni sanno ancora creare. Anche un ritrovato orgoglio per la capacità di produrre la seta più bella del mondo può aiutare a superare quel muro di indifferenza che in questi anni ci siamo costruiti davanti agli occhi.
Elvira Conca