Sedici anni di carcere per l’omicidio a sfondo sessuale di una ragazza di Erba. Anzi no, ne bastano meno di dieci, purché la vittima non si chiami Marisa Fontanella ma Anna Barindelli.
È utile partire da questo non senso, ancora più stridente per l’impressione che questi delitti fecero nell’opinione pubblica comasca, per interrogarsi sulle grandi questioni irrisolte della nostra giustizia penale. Una giustizia abbandonata a se stessa per tutta la durata del berlusconismo, ostaggio del conflitto di interessi ma ancor di più delle logiche dei veti contrapposti ad esso conseguente.
Il caso ha voluto che la liberazione dei due assassini, parola cruda ma vera, sia finito nelle pagine di cronaca sullo stesso numero del giornale, quasi a dimostrare che gli anni di prigione fiocchino per caso, tanti o pochi non si sa perché, anche se al cimitero ancora oggi vanno due madri con lo stesso dolore nel cuore, a piangere due ragazze ugualmente giovani e belle.
Eppure una differenza c’è, è grande e sta nel trattamento processuale riservato a Fiorenzo Alfano, condannato a 24 anni per l’omicidio della cugina, rispetto ai quattordici e mezzo inflitti a Massimiliano Gilardoni, che a Bellagio trafisse di coltellate Anna Barindelli.
Al ciabattino di Erba sono stati concessi tre anni di indulto e i benefici della legge Gozzini. Normativa ai suoi esordi vituperata, eppure coerente. Metà della pena in prigione e poi possibilità di lavorare fuori dal carcere di giorno per rientrarvi di notte fino al raggiungimento dei tre quarti della condanna. Poi libertà vigilata, cioè condizionata al mantenimento della buona condotta. È una legge che ha posto fine alle rivolte delle carceri e soprattutto ha ridato un senso, un filo di speranza ai condannati, specialmente a quelli per i delitti più gravi.
Sedici anni sono pochi, per una vita affogata nel sangue? Troppo elevato lo sconto di un quarto della pena? Sono interrogativi laceranti che in questo momento non vale neanche la pena di porsi, perché a far soffrire i familiari delle vittime c’è ben altro, ciò che ha reso così stridente la differenza tra l’omicidio di Erba e quello di Bellagio.
Anche a Gilardoni, è stata applicata la «Gozzini». Ma se il ciabattino si è sempre protestato innocente, fino alla fine, l’omicida di Anna Barindelli si è arreso quasi subito, davanti al giudice dell’udienza preliminare, sommerso dalle prove di colpevolezza. Per questa sola ragione, diciamo così di lealtà processuale, per aver risparmiato alla macchina della giustizia qualche giorno di dibattimento, ha ottenuto un ulteriore sconto, fortissimo, di un terzo della pena, da sommarsi agli effetti della Gozzini e a quelli - tre anni - del famoso indulto.
Dunque alla base delle scarcerazioni, anticipate al punto da sconcertare buona parte dell’opinione pubblica, non c’è la Gozzini ma la somma di troppe normative "premiali". Già a parlare di premi e di sconti, come se fossimo al mercato invece che in tribunale, si intuisce che qualcosa non va, che la delicata bilancia della giustizia ha cominciato a pendere troppo in favore degli imputati e in danno delle vittime.
Ora che la fase emergenziale della politica volge al termine, sarebbe bene occuparsene.
Mario Cavallanti