La Tanzania che respinge i soldi della Lega (anzi i nostri quattrini, visto che erano i rimborsi elettorali) è la nemesi delle nemesi. E dato che, dalle parti del Carroccio, i simboli sono importanti è inevitabile notare come una fase politica che si è aperta all’insegna della spada di Alberto da Giussano, si chiuda con le scope brandite ieri sera a Bergamo dai militanti.
Cambia il manovratore. Se dietro la spada si stagliava il ruvido di Bossi, la ramazza si muove a tempo del blues suonato dal tastierista Roberto Maroni. Se il Senatur è (o meglio era) un combattente sanguigno guascone, sfacciato, impunito e un po’ pasticcione, il suo erede politico (veneti permettendo) è placido, soft, freddo, il più ministeriale tra quelli in camicia verde, uno che prima di parlare ci pensa su non una ma dieci volte. Vien da pensare che avesse calcolato tutto. Forse lo ha sospettato più di un militante che ieri sera celebrava il passaggio di consegne con i lucciconi agli occhi e lo sgomento di chi assiste alla fine di un’epoca.
Invece forse Bobo sognava una rivoluzione di velluto. Ma deve aver capito che non tirava aria quando quelli del cerchio magico erano quasi riusciti a spingerlo fuori dai confini del regno di Umberto primo e unico.
Primo e unico perché è stato fin troppo facile pescare il Trota. In fondo è bastata un po’ di pastura. Ecco perché Maroni a cui solo pochi mesi fa era stato proibito di parlare alle manifestazioni della Lega è stato l’unico, assieme al capo (o ex) a poter prendere la parola ieri sera. E quando poche ore prima ha annunciato (lui) che avrebbero aperto bocca solo «io e Bossi» si è capito che la corona del re era caduta a terra, pronta a essere raccolta.
Non può che finire, tra le lacrime del Senatur, sul capo di Bobo. I triumvirati, la storia romana lo insegna, non hanno mai avuto troppa fortuna. E l’ex ministro dell’Interno, lungimirante, si è già tirato dalla sua parte quasi tutti gli uomini forti del Veneto (da Tosi e Zaia, unica eccezione Gobbo). Anche l’anticipo del congresso che sarà fissato dal consiglio federale e accorcerà la vita del triumvirato fa capire chi ha in mano le carte giuste in questa partita.
Maroni ieri sera ha rotto per sempre il cerchio magico. Cambierà molto nello Lega style. La spada finirà nel fodero, è il tempo della ramazza. Le battaglie (alcune vinte, tante perdute perché la caduta di Bossi non è solo giudiziaria ma anche politica) hanno lasciato troppo disordine e sporcizia sul terreno. Bisogna fare pulizia. La invocavano ieri sera i militanti, gli stessi che ai tempi gridavano slogan decisamente più ruvidi: «Secessione» e «federalismo». Cambia molto nella Lega. Le elezioni amministrative saranno l’ordalia di Maroni. Bobo, però, potrebbe aver imparato proprio da Bossi, che ha fatto viaggiare il Carroccio sulle montagne russe del consenso: una sconfitta non scalfisce il capo. Anche se il carisma del Senatur non si trasmette, neppure per via ereditaria, figurarsi per quella politica.
Non sarà una passeggiata di salute quella che attende Bobo. Terminate le pulizie di Pasqua, infatti, si ritroverà con una casa più linda, ma anche più fredda e vuota. A lui l’onere di scaldarla e riempirla. Come sapeva fare l’Umberto.
Francesco Angelini