Fiorenzo Alfano, condannato per il primo dei due delitti, è fuori da qualche mese, avendo chiuso 16 anni più tardi il suo conto con la giustizia, l'omicida di Anna idem, anche se per abbandonare le patrie galere, di anni gliene sono bastati molto meno, più o meno gli stessi - una decina scarsi - rimediati giusto mercoledì scorso da un trafficante di droga cui il nostro tribunale, il tribunale di Como, ha inflitto 14 anni per cinque chili di cocaina. I confronti sono inutili, anche perché in Italia vigono troppe leggi che regolano la procedura penale e che garantiscono sconti di pena in certi casi davvero incoerenti. L'argomento, però, non smette mai di essere di attualità.
È il caso, in questi giorni, dei tre giovanotti identificati quali autori - ancora presunti - di una violenza sessuale aggravata, denunciata la sera del 13 marzo scorso da una loro coetanea, violentata dopo essere stata trascinata in uno scantinato di via Italia Libera. Ora: nell'immaginario collettivo, gli autori di un reato di questo genere dovrebbero essere in carcere a riflettere su se stessi e sul come si stia al mondo, aspettando con pazienza il processo. La Procura, invece, ha optato per una denuncia, un avviso di garanzia recapitato a piede libero, sul quale è legittimo interrogarsi. Perché i tre non sono in carcere? Perché non si è ritenuto di doverli arrestare, di doverne limitare la libertà personale quantomeno in attesa della conclusione dell'indagine?
La risposta, che in questo caso rischia di suonare indigesta, la fornisce la legge, che in Procura è stata applicata alla lettera. Il nostro codice è rigorosissimo in materia di limitazione della libertà personale, un diritto che per prima la nostra Costituzione ritiene inviolabile. Si finisce "dentro" senza un processo soltanto se sussiste almeno una di tre condizioni, divenute ormai quasi proverbiali, in tempi di gialli e fiction: dev'esserci un rischio concreto di "reiterazione del reato" - brutto modo per dire che il crimine può essere commesso di nuovo -, deve esserci un pericolo concreto di fuga, deve sussistere il rischio che, restando a piede libero, l'indagato riesca a nascondere le prove.
E' evidente che nel caso dei tre accusati dei fatti di via Italia Libera non sussistesse nessuna di queste condizioni. "Applichiamo la legge", dicono d'altra parte in procura, il che - e lo garantisce chi scrive quasi ogni giorno di cronache giudiziarie - è assolutamente vero. La domanda però è anche un'altra: si può commettere uno stupro - perché uno stupro è stato commesso, almeno secondo l'accusa - senza trascorrere neppure mezza giornata in cella? Una risposta non c'è, anche se è inevitabile, di fronte a fatti di questo genere, scoprirsi a a tifare per una legge un po' più ruvida, un po' più reattiva, che sappia mostrarsi efficace come certe randellate dei nostri genitori e dei nostri nonni. Nessuno tifa per il taglione ma qualche giorno di carcere forse avrebbe reso un buon servizio alla causa. Quella della vittima e, senz'altro, quella dei suoi carnefici.
Stefano Ferrari
© RIPRODUZIONE RISERVATA