Una firma per chiedere di applicare la tassa minima, se proprio non può essere evitata.
È l’iniziativa che lancia Confartigianato Como: una petizione destinata a tutti i Comuni che stanno decidendo le aliquote per calcolare l’Imu, l’imposta municipale unica che il governo Monti ha introdotto, ripristinando di fatto la vecchia Ici, per risanare le casse dello Stato.
Una tassa non solo sulla casa e sui bilanci delle famiglie - e qui le proteste vibranti dei cittadini hanno ormai raggiunto il limite di guardia giudicando dalle telefonate che giungono anche in redazione - ma che andrà a gravare pesantemente sui malridotti conti delle imprese.
Il conto finale rischia di essere salato, per non dire fatale in molti casi, per gli imprenditori stretti fra la mancanza di credito dalle banche e dai mancati pagamenti dei clienti, lo Stato in primis. Quella che lanciano gli artigiani comaschi non è una rivolta tout court contro l’ennesima gabella, ma un invito ai Comuni ad applicare il buonsenso nel momento in cui decidono quali aliquote applicare per il pagamento dell’imposta per le imprese manifatturiere e commerciali. Secondo alcuni calcoli della Cgia di Mestre, sulle imprese peserà un carico medio di 3.389 euro all’anno. Per i titolari di uffici e negozi la cifra media scende a 727 euro.
Anche se il maggior gettito (8,2 miliardi) per lo Stato e i Comuni (solo un parte dell’Imu resterà sul territorio) è atteso da seconde e terze case, dalle imprese è atteso un gettito di 4,3 miliardi. Un tesoretto prezioso e indispensabile per dare ossigeno alle asfittiche casse pubbliche.
Gli imprenditori lo sanno e si dicono disponibili a fare la loro parte evitando per una volta di cavalcare battaglie populiste. Sgombrato il campo da questo, Confartigianato mette in guardia i sindaci sui rischi che guardare all’Imu come ad un bancomat certo su cui contare, trasformi il carico fiscale già pesante sulle attività produttive (43,2% secondo gli ultimi dati Istat, il 51,6% al netto del sommerso) in un macigno che li porterà a fondo. La conseguenza, dicono senza mezzi termini, è che si allunghi la lista delle aziende che chiudono perché non più in grado di reggere al peso della crisi e delle tasse, con grave danno sull’occupazione.
E così la reintroduzione della gabella sulla casa e i capannoni cancellata allegramente dall’ex premier Silvio Berlusconi in uno dei tanti momenti di euforia, si sta trasformando nell’ennesima guerra tra poveri. Da una parte i Comuni che vedono nel gettito dell’Imu l’unico modo per avere i soldi per pagare gli stipendi degli impiegati, i lavori per riparare le strade, la costruzione di acquedotti e fognature, i servizi scolastici. Le vibranti proteste di questi giorni dei sindaci all’ipotesi di rateizzazione dell’imposta, la dicono lunga sul rischio di defoult di molti municipi. Dall’altra, le aziende che stanno pagando un prezzo altissimo alla crisi e al risanamento dello Stato.
Trovare un equilibrio tra le due esigenze, entrambe legittime, è indispensabile. I tagli agli sprechi (gli spazi di manovra sono ancora ampi) e ai privilegi (la politica continua a non dare il buon esempio) sono certo le due azioni che un buon amministratore pubblico dovrebbe doverosamente fare prima di mettere le mani nelle tasche non solo dei suoi concittadini, ma anche degli imprenditori. Perché oggi non è possibile perdere anche un solo posto di lavoro.
Elvira Conca