E’ arcinoto che soltanto le favole possono cominciare con un «C’era una volta». Questa, a modo suo, è una favola, pertanto ci sentiamo autorizzati a procedere.
C’era una volta, appunto, un modo di vivere e di pensare che arrivava a trasmettere idee alle giacche e riusciva a contagiare i pantaloni con le ideologie. Se un tale era un materialista storico lo si capiva dalle scarpe; fosse stato un tipo che, la sera, amava esaltarsi nella lettura di Julius Evola, potevi dedurlo dagli occhiali da sole. Erano gli stessi tempi in cui passare da una certa strada con un certo tipo di capigliatura poteva bastare per vincere un passaggio gratis all’ospedale, oppure, passeggiando la sera, la basetta che decorava la guancia poteva trasformarsi nel buono per ritirare un trauma cranico omaggio.
Non è certo questo un articolo inteso a spargere nostalgia su quei tempi andati, quelli del «cioè compagni nella misura in cui» e dello squadrismo da centro storico. La rievocazione serve solo a sottolineare quanto i tempi, come sempre sottolineano i nonni tentennando la testa, siano cambiati. Al punto che importanti dirigenti di due partiti come il Pdl (Angelino Alfano) e Pd (Pierluigi Bersani) si vestono allo stesso modo. L’annotazione, con tanto di foto, circola su Facebook: Alfano e Bersani con lo stesso vestito, come due dame imbarazzate che si incontrino al ballo portando la stessa mise.
Una coincidenza, si capisce, un capriccio del caos cosmico che, tanto per farsi due risate, ha indotto i due a indossare identica giacca, uguale camicia e speculare cravatta. I salotti romani leggono questa combinazione con la consueta ironia: ormai affratellati sotto lo stesso tetto - il governo Monti - Pd e Pdl sono diventati gemelli, indistinguibili nei programmi come nell’abbigliamento, nei principi come nei pedalini.
Noi, esagerati, in questa compenetrazione di tessuti e politica leggiamo più omologazione che convergenza, più appiattimento che similitudine. Ai tempi di Peppone e Don Camillo, uno portava il fazzoletto rosso al collo e l’altro indossava la tonaca perché non ci fossero dubbi su chi fosse chi e su chi rappresentasse che cosa. La stagione del regimental impone invece l’uniforme a chi, in fondo, interpreta la politica come un prodotto da piazzare presso il pubblico più ampio possibile. Giusto dunque che le differenze scompaiano, o che risaltino solo quando proclamate nei comizi e scandite negli slogan: ciò che conta è presentare un involucro standard, buono per ogni occasione; per l’assemblea del mattino, come per la conferenza stampa del pomeriggio e per l’inciucio serale con tanto di champagne e caviale. Non stupisce che il pubblico disprezzi tutti i partiti a prescindere: non riesce neppure più a distinguerli. Potranno la stessa cravatta, potranno mai avere idee originali? Sarebbe la favola di cui sopra.
Mario Schiani