Le tasse sono una cosa bellissima». Lo disse Tommaso Padoa-Schioppa, che fu ministro dell’Economia, ma soprattutto fu uno dei più acuti civil servant della nostra Repubblica.
Le tasse - spiegò Padoa-Schioppa - sono «un modo civilissimo di contribuire tutti insieme a beni indispensabili quali istruzione, sicurezza, ambiente e salute». In Italia però si esagera. Secondo la Cgia di Mestre, la pressione fiscale che grava sui contribuenti onesti arriva al 51,7% del reddito. Vuol dire che lo Stato è il socio di maggioranza di chi le tasse le paga. Ovvero lavoratori dipendenti e pensionati che pagano l’85% dell’Irpef. Per il resto, tanta evasione ed elusione. Come dire, che i servizi che lo Stato produce e che tutti utilizzano sono pagati solo da una parte dei cittadini. Gli evasori, totali o parziali, obiettano: "le tasse le pagherei volentieri, se solo sapessi come i miei soldi vengono spesi". Si può condividere, ma è una pretesa che tutti possono avanzare.
Pagare le tasse è una questione di civiltà e educazione. Che in Italia mancano, anche perché negli anni si è affermato un patto non scritto tra i politici e le categorie che riuniscono gli autonomi. La politica ha tollerato l’evasione in cambio dei voti delle categorie "protette". Così, anno dopo anno, condono dopo condono l’evasione fiscale ha raggiunto volumi mostruosi mentre il debito pubblico è esploso fino a portarci sull’orlo del baratro. E in attesa di riuscire a trovare il modo per tagliare la spesa pubblica, anche il Governo dei tecnici si è accanito contro i soliti noti: dipendenti e pensionati, mentre la lotta all’evasione al di là dei blitz a Cortina, piuttosto che a Portofino o Como, non ha fatto passi in avanti strutturali. Basterebbero norme più incisive sulla tracciabilità dei pagamenti. Nel frattempo, il carico impositivo cresce. E - come ieri ha denunciato Luigi Giampaolino, presidente della Corte dei conti - tra un fisco vorace e una crisi acuta, l’Italia è entrata in un corto circuito: consumatori allo stremo e sfiduciati, recessione inevitabile, e - al momento - poche speranze di uscire dal tunnel. Per i liberisti la soluzione c’è: taglio drastico di tutte le aliquote fiscali, a cominciare da quelle dei redditi più alti, e contestuale alleggerimento della presenza dello Stato. Una manovra così congegnata liberebbe risorse in grado di far ripartire la congiuntura. Questa la teoria, che però non pare trovare conferma nella pratica. Il taglio delle aliquote fiscali - dove è stato introdotto, ad esempio negli Usa - ha prodotto solo un aumento delle disparità sociali: i ricchi sono molto più ricchi, i poveri sono aumentati. Mentre il sistema economico annaspa e il patto sociale si indebolisce. Forse sarebbe meglio razionalizzare e rendere efficace la spesa pubblica, mantenere e magari accentuare la progressione fiscale, puntare su una seria lotta all’evasione, e abbassare le aliquote a cominciare dai redditi più bassi. È probabile che con una più equa distribuzione del reddito anche l’economia possa trovare la forza per ripartire.
Gianluca Morassi