Cinque anni dopo, di quelle «cose fatte bene» resta una montagna di macerie e promesse. E un progetto avveniristico rimasto - come tanti - nel libro dei sogni. Abbandonato, in uno dei suoi ultimi atti prima di cedere il testimone ai nuovi amministratori, dallo stesso sindaco che lo volle.
L'operazione pre-elettorale di Stefano Bruni, il primo cittadino che dopo dieci anni se ne va da Palazzo Cernezzi senza grandi rimpianti - neppure tra le sue fila - si è smarrita in un polverone pieno zeppo d'amianto.
Il progetto del nuovo quartiere alle porte della convalle, da far nascere al posto dell'ex tintostamperia, è partito male ed è finito peggio. Se il buongiorno si doveva vedere dal mattino, l'alba del giorno dopo per la Ticosa avrebbe dovuto mettere tutti quanti in guardia, con il grande pasticcio delle macerie inquinate e maneggiate come si fosse trattato di sabbia delle Maldive, le troppe bugie sulla presenza di amianto e sull'esigenza di bonificare il sottosuolo, l'inchiesta della magistratura, il sequestro del cantiere. E, dulcis in fundo, la scoperta che quelle ruspe illuminate a giorno, nella serata-spot che ha lanciato la squadra di Bruni verso il secondo mandato, erano manovrate da una società finita poi sotto inchiesta tre anni dopo perché infiltrata dalla 'ndrangheta.
Addio al quartiere Ticosa, dunque. Storia emblematica di una città smarrita al punto di sentire il bisogno, oggi, di ripartire con ben 700 candidati.
Volendo spezzare una lancia a favore del primo cittadino uscente, va ricordato che nella vertenza con Multi - l'azienda che aveva vinto la gara per l'acquisto dell'area e la successiva realizzazione del nuovo quartiere - davanti alla giustizia amministrativa il primo round ha dato ragione al Comune. Ma questo ai cittadini interessa fino a un certo punto. Perché il risultato finale è che delle due grandi opere con le quali il sindaco uscente puntava a farsi ricordare come l'uomo del fare nei decenni a venire, una è naufragata ieri, l'altra - le paratie - rischia di far naufragare una città intera.
E per fortuna che agli aspiranti amministratori del domani, almeno sentendoli parlare nei dibattiti elettorali, della cittadella della Ticosa non interessa nulla. Neppure piaceva, forse, quel progetto. Ora c'è chi propone un parcheggio interrato al servizio della città. Chi un parco verde dove far giocare i bambini. Chi un'area attrezzata per camperisti.
A Bruni va riconosciuto di aver sbloccato una situazione che si trascinava stancamente dagli anni Ottanta. Quell'edificio fatiscente e pericolante, biglietto da visita ben poco edificante per la città del Razionalismo e delle bellezze naturali - peraltro deturpate dal cantiere per le paratie - oggi non c'è più. Ed è cominciata anche l'opera di bonifica del sottosuolo.
L'eredità che la nuova amministrazione, qualunque essa sia, è destinata a raccogliere non è però solo quella di un'area dove poter inventare qualcosa di nuovo. Ma anche un contenzioso giudiziario che si preannuncia per nulla amichevole. La decisione del Comune di incassare la fidejussione di tre milioni e mezzo a vertenza ancora aperta, innescherà inevitabilmente una battaglia a suon di carte bollate e lettere di avvocati.
Comunque andrà a finire resta il rammarico dell'ennesima promessa andata a picco. Una promessa fatta alla vigilia delle scorse elezioni, con sfoggio di spettacolo pirotecnico annesso, a cui molti elettori della giunta uscente avevano creduto veramente. Salvo poi risvegliarsi, cinque anni dopo. E riscoprirsi ancora con la matita in mano, in un seggio elettorale.
Paolo Moretti
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