C'è da ridere, ma è la verità: il governo è pronto a tassarvi l'orto. Ai tempi dell'Ici non era così: il balzello era interessato solo alle case. Colpiva ovunque ci fosse un mattone: l'aliquota, ricorderete bene, variava dall'abitazione principale alla seconda casa. Un bel salasso, ma con una certezza: l'Ici non nutriva alcun interesse nell'agricoltura. Laddove scorgeva una zolla, la tassa sulla casa arretrava: «Non è compito mio: per quanto mi riguarda, anzi, il tubero può crescere in regime di assoluta anarchia fiscale e il legume, spuntando dal terreno, non riceverà, da me, alcuna richiesta di accertamento». Ma l'Ici non c'è più: arriva l'Imu che della originale tassa sulla casa è una versione potenziata, come quei batteri rinvigoriti dagli attacchi degli antibiotici, in grado di resistere alle terapie, di beffarsi dei medici e di esibire tatuaggi sui minuscoli bicipiti. L'Imu, insomma, non si ferma in soggiorno ma sconfina in giardino e, qualora si ritrovi in un terreno a ufficiale destinazione agricola, si mette a tassare a più non posso. Potrà succedere anche a Como, città non precisamente a vocazione agreste, ma comunque non protetta dalla definizione di area "svantaggiata" che si riserva alle zone montane. Sarà il consiglio comunale, a debita distanza dalle elezioni, a decidere se tassarvi il basilico e i fagiolini. Meglio che lo sappiate oggi.
Certo, nulla rischia il piccolo orticello a fianco della casa, il breve ritaglio di terra di pertinenza dell'abitazione; tuttavia con "terreno agricolo" non dobbiamo pensare necessariamente a estensioni sudamericane, a infinite coltivazioni intensive: il rischio di dover pagare un'imposta anche per quegli scarsi metri quadri riservati all'insalata è consistente se non già definitivo.
Potrebbe essere un altro sacrificio dovuto al bene supremo di salvare la Patria dalle fauci dello spread, se non fosse che, tassando anche l'ortaggio coltivato "a margine", il frutto della terra cresciuto a modesto sostegno dell'economia famigliare, il fisco compie forse l'ultima possibile intrusione, l'estremo affronto al privato.
«Se hai freddo ti tasserò il riscaldamento, se fai una passeggiata ti tasserò i piedi» cantavano nel 1966 i Beatles inviperiti dal prelievo sui loro introiti operato dalla tassazione progressiva del governo laburista di Harold Wilson. Difficile immaginare che cosa intonerebbero oggi alle prese con l'esecutivo di Mario Monti, ma certo ci penserebbero due volte a chiamare la loro etichetta "Apple" ("Mela") per timore di un'ulteriore decurtazione su frutta e verdura. Poco importa: basta la canzone originale a rimandare l'immagine del fisco come una sorta di predatore. Anzi, di un curioso incrocio tra un vampiro e un molestatore, uno di quei soggetti equivoci che ci spiano dietro la palizzata del giardino per vedere se, magari, riescono a piazzarci una stoccata sulle melanzane.
Ciò detto rimane nostra opinione che pagare le tasse si deve e che, soprattutto, sia un impegno al quale nessuno deve sottrarsi: solo così si può sperare, in un futuro, di raggiungere nel contempo maggiore equità e minore pressione. Nessuna intenzione di giustificare o alimentare venti di ammutinamento fiscale, dunque, ma la determinazione di rivendicare un solido confine culturale, questo sì: lo Stato può e deve chiederci ragione dei nostri guadagni, perché da essi discenda il nostro contributo alla collettività, ma ciò non corrisponde a un lasciapassare per ogni nostra attività, per ogni nostra iniziativa personale, sia pure modesta come la decisione di piantare porri o peperoni dietro casa.
In caso contrario le nostre libertà verrebbero intaccate alle fondamenta. O, se preferite, alle radici.
Mario Schiani
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