Fortunatamente si è concluso senza vittime il sequestro all'Agenzia delle entrate nel Bergamasco ad opera di un imprenditore esasperato. Ma tale vicenda, frutto di rabbia e disperazione, è solo la manifestazione estrema di un disagio che riguarda larga parte della società.
La spesa pubblica fuori controllo di uno Stato farraginoso e inefficiente produce un prelievo fiscale devastante. La politica del "rigore" a senso unico - determinato nell'aumentare il prelievo e impotente di fronte ai privilegi statali, delle imprese assistite e del ceto politico-sindacale - sta uccidendo l'economia produttiva. Quando si dice che in Italia l'imposizione soffoca la crescita, bisogna chiarire che patiscono le conseguenze peggiori quanti operano nel mercato: soprattutto chi, come imprenditore o dipendente, è legato ad aziende private di limitate dimensioni. E non è un caso che quanti si sono tolti la vita si collochino principalmente tra la Lombardia, l'Emilia e il Veneto.
La rabbia ora inizia a trovare anche canali istituzionali. Non soltanto la Lega ha annunciato la rivolta fiscale dinanzi all'Imu, ma sono sempre più numerosi i comuni che rifiutano Equitalia. Perfino l'Anci ha detto che si doterà di una propria agenzia di riscossione.
Il disagio monta giorno dopo giorno, mentre la crisi economica si connette a una decrescente delegittimazione del ceto politico. L'Italia è sempre più una nave che nessuno a Roma riesce a governare, soprattutto per il crescente disprezzo della gente comune verso ogni autorità e perché pare svanita ogni speranza di cambiamento. Da tempo si sa che per il Paese si avvicinano momenti difficilissimi, poiché dovremo fronteggiare una situazione di tipo greco. Ma il guaio è che stiamo arrivando a quell'appuntamento senza la minima fiducia che vi possa essere una via d'uscita.
A questo punto, dinanzi al molto sangue già sparso (ieri, per le strade di Bologna, sono sfilate le vedove degli imprenditori suicidi) e alla crescente confusione istituzionale, il dibattito politico dovrebbe saper mostrare quel coraggio che finora è mancato e dovrebbe abbattere alcuni dei tabù che, a oggi, hanno impedito di prendere in esame le uniche soluzioni in grado di invertire la tendenza.
In primo luogo, se il prezzo del disastro è stato pagato solo da quanti lavorano nelle piccole imprese private, adesso gli oneri devono gravare anche sulle grandi imprese statali e no (e si spera che Francesco Giavazzi riesca a cancellare i finanziamenti a loro favore), sui dipendenti pubblici (che talora dovranno cercare un altro lavoro), sui partiti e sui sindacati, sulle mille associazioni assistite.
È poi indispensabile che i centri decisionali, specie in tema di tassazione e spesa, siano avvicinati ai cittadini e messi in concorrenza. Se l'Italia giacobina ("una e indivisibile") dell'articolo 5 della Costituzione non regge più, l'unica alternativa è restituire davvero libertà e responsabilità alle istituzioni vicine alla gente. Siamo stati grandi ai tempi di Firenze, Venezia, Milano e Genova: forse potremmo apprendere qualcosa anche dalla nostra storia.
Carlo Lottieri
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