In sostanza, il sindaco uscente ha ammesso di aver combinato un mucchio di pasticci, che questo giornale ha scovato uno dopo l'altro, ma al contempo ha pure previsto che il suo successore farà peggio di lui per colpa di una maggioranza frammentata che andrà in crisi entro un paio di anni. Rendendo così necessaria una grande alleanza tra sinistra e destra e l'avvento di un "tecnico" sopra le parti. Insomma, lo stesso film che ha portato al governo Mario Monti. L'osservazione non è sciocca. Perché, guardando al di là della pletora di candidati e della valanga di liste che danno un segno plastico dello sbriciolamento del quadro politico, è questo il vero punto.
Chiunque vinca il 21 maggio si troverà a governare non solo un consiglio ma anche una maggioranza - e quindi una giunta - spaccata fra troppi alleati, troppe correnti, troppi interessi contrapposti e speriamo tutti leciti, troppi livori personali (perché anche i politici sono fatti di carne e spesso finiscono per farsi condizionare da sgarbi e antipatie) che potrebbero portare all'inazione prima, alla palude poi e, infine, alla caduta.
Il Pdl, ad esempio, è in un mare di guai. Il traino nazionale, che lo ha tante volte miracolato a livello locale visto che bastava appellarsi all'icona Berlusconi per nascondere la spazzatura sotto il tappeto, è scomparso ad anzi, dopo la disastrosa esperienza governativa, si è tramutato in un handicap.
Se Laura Bordoli - persona davvero per bene - dovesse arrivare al ballottaggio e poi vincerlo, sarà in grado di gestire la guerra per bande (di cui il caso Gaddi è solo l'esempio più eclatante, ma non certo l'unico) all'interno del partito ed imporre la propria squadra di governo senza farsi condizionare da nessuno pensando solo alla competenza e alla dirittura morale? Saprà scardinare i meccanismi burocratici vieti e insopportabili che bloccano da mille anni il Comune? C'è da sperarci, certo, ma anche da dubitarne.
La sindrome dello sconfittismo è invece il vero ostacolo sulla strada di Mario Lucini, altra persona cristallina. La storia insegna che in Italia, e soprattutto in una città moderata come questa, la sinistra perde sempre e quando sta per vincere riesce a perdere lo stesso e se per caso vince inizia subito a dividersi e a sgambettarsi fino a crollare. Le due tragicomiche esperienze del governo Prodi sono ancora carne viva che brucia. Riuscirà Lucini, in caso di successo, a stare sul pezzo, a pensare concreto, ad agire veloce senza farsi ingabbiare dai soliti birignao vetero-cultural-sindacali che costituiscono il male del progressismo italiano?
Perché se in consiglio comunale si iniziasse ad abbarbicarsi sui dilemmi della Tav, la sociologia comparata dell'accoglienza, l'ermeneutica dello sviluppo equosolidale con magari pure una spruzzata di intemerate manettare da una parte e di analisi storiografiche su quelli là che in fondo erano solo compagni che sbagliavano, allora siamo fritti. Una sfida durissima: una prova di maturità che prima o poi la sinistra dovrà superare.
Il caso più drammatico riguarda però la Lega la cui credibilità, fuori dai furori partigiani e ideologici, sta toccando in questi giorni il livello più basso. Alberto Mascetti è un signore molto stimato, ma l'impresa di rappresentare un marchio che ha tradito tutte le promesse fatte in questi vent'anni e che tra soldi pubblici spariti, familismo amorale, lauree albanesi e ministri che incitano alla rivolta dopo essere stati per dieci anni al governo sembra davvero disperata. Perché la nemesi è terribile: i paladini della diversità padana sono stati poi beccati a razzolare come i peggiori dorotei avellinesi. Il federalismo è un'istanza nobile: sarà dura tenerne alta la bandiera in queste condizioni. Auguri sinceri, davvero.
E se è così, si dovrebbero aprire praterie, al netto dell'astensionismo, per le liste civiche e per i movimenti politici più radicali, grillini in testa. Questo è un grande mistero: nessuno sa quanti voti prenderanno, chi riuscirà ad andare in consiglio e quali saranno le mosse per il ballottaggio. Alcune sembrano esperienze interessanti ideate da amministratori con qualche prospettiva futura, altre non si capisce che ci stiano a fare, altre ancora rientrano più nel canovaccio della commedia di costume che di quella della politica. Comunque, hanno almeno il merito di raccogliere la voglia di partecipazione di tanti comaschi.
E questo è quanto. Anche perché il punto rimane quello di partenza: se fra un paio di anni dovessimo ritrovarci a cercare disperatamente un commissario col loden significherebbe il fallimento non solo della squadra di governo e un po' pure delle opposizioni. Ma soprattutto della città che pensa di essere migliore della politica. La situazione era chiara: se si resta fuori, poi è troppo tardi per lamentarsi.
Diego Minonzio
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