Cronaca di uno tsunami annunciato. Se già per il centrodestra nazionale non tirava una buona aria, figurati a Como con il Pdl spaccato e l’eredità avvelenata dell’amministrazione Bruni. Alla fine perciò, se uno ci pensa su, il risultato del primo turno delle Comunali in città, è quasi scontato.
Invece no. Perché, anche alla luce di sondaggi che più che mai questa volta si sono dimostrati farlocchi, neppure il gufo più gufo del centrodestra poteva ipotizzare un quadro da Goya come questo. Laura Bordoli al ballottaggio sotto il 20%, incalzata da Alessandro Rapinese con la vela gonfiata dal vento dell’antipolitica (o della buona politica come la chiama lui, ma per gli elettori è lo stesso). Se si somma il risultato parziale del Pierino di palazzo Cernezzi a quello del candidato grillino, Luca Ceruti, si arriva quasi al risultato del PdL. Cose dell’altro mondo per un elettorato prudente e poco propenso alle avventure come quello comasco.
Segno che questa volta la misura era proprio colma. Il bilancio sconfortante del governo Berlusconi, anche al netto delle derive pecorecce, sommato al carico da briscolone della devastante amministrazione uscente, unito allo spettacolo dell’implosione del PdL hanno determinato un’inedita reazione di pancia dei cittadini comaschi.
Ne ha fatto le spese anche la Lega Nord, che pure aveva tentato di nascondere le rughe dell’appoggio a Bruni, dietro il volto rassicurante di quel galantuomo di Alberto Mascetti. Non è bastato. Tra il Belsito di via Bellerio e quel brutto sito che è diventato il lungolago grazie anche alla compiacenza del Carroccio, molti elettori lumbard hanno scelto di restare a casa. O magari di dirottare il voto su Rapinese. Addirittura, qualcuno potrebbe anche aver messo la croce sul nome di Lucini.
Va detto che tanta cuccagna per il mite geologo del centrosinistra, che ora si trova nella stessa condizione dalla Juventus prima della partita con il Cagliari, e la fascia tricolore può solo perderla, non è attribuibile solo alle sventure o alle sciaguratezze altrui. Il Pisapia de noantri ha infatti compiuto un’impresa pari quasi a quella di Conte sulla panchina bianconera. Ha saputo aggregare una coalizione storicamente - a Como e non - litigiosa e autoreferenziale.
Se qualcuno si faceva cullare dal tifone dell’antipolitica, quelli del centrosinistra remavano all’unisono sotto la guida del nostromo. Altri quindici giorni agli scalmi e sarà fatta. Forse.
E sì, perché il bello o il brutto, a seconda dei punti di vista, potrebbe ancora arrivare. Per una volta, infatti, il voto ha rispecchiato gli umori di una città brontolona e scontrosa con chi la governa tra un voto e l’altro, ma pronta a perdonare davanti alla scheda e magari al rischio di vedere i cosacchi che abbeverano i cavalli nel primo bacino (operazione peraltro sconsigliata per l’inquinamento).
Questa volta no. Lucini ha intercettato anche una parte del voto in libera uscita del PdL. Più di un elettore che cinque anni fa aveva ribadito la fiducia a Bruni (magari con due dita premute sulle narici), questa volta ha attraversato la frontiera politica. Con una motivazione che spesso suonava così: «Non conosco Lucini ma so che è una brava persona». Dopo quel che si è visto da queste parti ci si accontenta di poco.
Ora resta da capire se al ballottaggio questi voti resteranno a spasso o torneranno a casa. Se l’esito del primo turno non sia una sorta di passamano al PdL per tentare di farlo rigare dritto.
Di certo da qui al 20 maggio i dirigenti dell’ex partito di maggioranza relativa (oggi a Como è il Pd, pensa te) sventoleranno la muleta del pericolo rosso. Anche se dipingere Lucini come un trinariciuto comunista, è dura.
Francesco Angelini