Né tradimento né assenza. Ma piuttosto la cronaca (postuma) del mancato incontro tra chi ha dato una disponibilità e chi era chiamato ad accoglierla. La provocazione dell’altro giorno ha colto nel segno. I De Santis, i Taborelli e i Traglio, evocati come espressione di quella società civile «che poteva dare idee e soluzioni» e che invece «è rimasta a casa, in ufficio, in azienda» sono usciti allo scoperto.
E hanno negato con forza (e argomenti) di essere dei traditori. A rompere l’argine, e a consegnare alla città un pezzo di cronaca finora inedito, è stato proprio ) il presidente della Camera di Commercio. «C’erano sul tavolo - ha scritto - condizioni ragionevoli in termini di autonomia nelle scelte della squadra di Consiglio e di Giunta che potessero dar forza alla speranza di riuscire a far ripartire la città? Dal mio personale punto di vista non c’erano, come non ci sono state dieci anni or sono quando pure, dopo tante pressioni, avevo accettato di discuterne». De Santis, che ha rivendicato i suoi «quindici anni di impegno pubblico ininterrotto» - prima come assessore, poi da presidente di Villa Erba e infine in Camera di Commercio - è andato anche oltre: «C’è stata consapevolezza da parte delle forze politiche (di centrosinistra e di centrodestra) del fatto che, di fronte allo sforzo che devono fare oggi Como e i suoi amministratori per recuperare il terreno perduto, occorreva forse, questa volta, superare gli schemi storici e davvero, con sguardo lungo, parlarsi, fare un passo indietro e aprire le porte a una fase straordinaria di coesione e di solidarietà?». Domanda chiaramente retorica, che portava con sé una risposta scontata. No.
Sulla stessa linea l’ex numero uno di Confindustria, Taborelli: «Quando De Santis dice che i partiti non concedono l’autonomia necessaria, rispondo che ha ragione. Chi vincerà queste elezioni ha davanti una sola strada: quella di rendersi indipendente dalla politica. La città è in una situazione disastrosa... Non c’è alternativa: è il momento di rompere con le logiche di partito e scegliere i migliori». Ieri è stata la volta dell’imprenditore Traglio, un altro cavaliere bianco a lungo evocato e poi rimasto ai box. Anche lui ha ribadito - come De Santis - che non c’erano le condizioni per scendere in campo: «La politica e i partiti non hanno capito l’eccezionalità del momento, non hanno compreso l’emergenza Como». Emergenza che, per Traglio, richiedeva di andare oltre i partiti, in una logica che richiamava molto da vicino quella sperimentata dal governo Monti, con un profilo super partes.
I De Santis, i Taborelli e i Traglio non si sono fatti certo prendere da manie di protagonismo, pensavano semplicemente di poter fare qualcosa di utile per la città, mettendo al servizio di Como la loro esperienza professionale e nelle istituzioni. Ma la loro disponibilità si è infranta sulla soglia dei partiti politici. Ora, letteralmente tirati per la giacca, l’accusa che muovono questi protagonisti della società civile comasca è che la politica non ha voluto fare un passo indietro - ritirandosi anche dagli interessi di bottega - per il bene della città.
Non tocca certamente a noi assolvere la società civile o condannare i partiti. Abbiamo semplicemente registrato che la prima non era pervenuta e ci siamo chiesti perché. Una risposta, plausibile e univoca, è arrivata da De Santis, Taborelli e Traglio: i partiti non hanno capito la gravità della situazione di Como, privilegiando gli interessi di parte.
I partiti, dal canto loro, hanno risposto che in politica ci sono regole ben precise e che «l’autonomia è garantita a tutti, ma i voti si prendono insieme». Questo nessuno lo vuol mettere in discussione e nessuno vuole proporre una deriva tecnocratica. Ma se i partiti amano questa città devono declinare le regole della politica (e della democrazia) per il bene di Como e non ad uso proprio. O, peggio, a danno di questa già disgraziatissima città.
E allora? Prendiamo atto di un’occasione persa? Niente affatto. Ci auguriamo che chiunque vinca (Lucini o Bordoli che sia) faccia bene, così da risollevare le sorti di una realtà che esce da un autentico disastro amministrativo. Ma se così non fosse c’è da chiedere al futuro sindaco di aver la lungimiranza (che i partiti finora non hanno avuto) di fare un passo indietro, senza ostinarsi in una riedizione di amministrazioni agonizzanti di recente memoria, per trovare soluzioni condivise, aprendo alle forze migliori della società civile. Insomma, se non va si abbia il coraggio di osare con una prospettiva più ampia. Per il bene di Como.
Emilio Frigerio