In giorni come questi, le Cassandre si moltiplicano. Come a Cassandra, è possibile che i fatti diano loro ragione. Paul Krugman, Premio Nobel ormai noto soprattutto per i suoi editoriali sul New York Times, ha parlato a chiare lettere di “crepuscolo dell'euro”, Eurodämmerung, delineando uno scenario in quattro punti.
La tessera che fa cadere il domino è l'uscita della Grecia dalla moneta unica. Quando essa avverrà, e secondo Krugman è questione di un mese, chi ha denaro nelle banche spagnole e italiane cercherà di spostarlo in istituti di credito tedeschi o austriaci. Quando sono in gioco i nostri risparmi, è naturale, non ci piace lasciarli laddove sono più evidentemente a rischio.
Questo movimento di quattrini potrebbe essere però talmente vigoroso da mettere a rischio la sopravvivenza dello stesso sistema bancario dei due Paesi “euro-mediterranei”. Il che chiamerà in causa o dei controlli “di fatto” sul libero movimento dei capitali (questo significherebbe la fine non solo dell'euro ma della stessa idea di un'Europa unita fondata sulla libertà di movimento di uomini, merci e capitali) oppure un massiccio intervento della Banca centrale europea.
A questo punto, la palla sarà di nuovo nel campo della Germania. I tedeschi potranno accettare il passaggio ad una unione fondata su massicci trasferimenti di ricchezza, dalle loro tasche ai Paesi “deboli”. Oppure dire di no, e in quel caso l'euro finisce. Che finisca “sdoppiandosi” in un euro-sud e in euro-nord, o invece si torni alle valute nazionali, poco importa. Krugman è un economista di sinistra. Madsen Pirie dell'Adam Smith Institute di Londra, che invece è un politologo di destra, stima che questo processo potrebbe avere luogo in sei settimane. Tyler Cowen, della George Mason University, ritiene “inevitabile” che la Grecia esca dall'euro, e così il Portogallo. Che Italia e Spagna possano restarci, suggerisce, è tutto da vedere: ma Cowen non fa previsioni sulla reazione dei mercati a un'uscita della Grecia, a differenza di Krugman.
I tempi stanno accelerando nella confusione e nella preoccupazione generale. Chi spera in una sopravvivenza dell'euro così come è conta su fattori simbolici: i tedeschi non possono accettare la fine del progetto europeo, perché rischierebbe di riaprire quelle ferite che era sorto per sanare. È opportuno ricordare che se la Grecia è nell'euro è a causa di chi ragionava per simboli e pensava che fosse inimmaginabile “un'Europa senza Atene, madre della nostra civiltà” (e allora perché non abbiamo fatto aderire anche Israele, visto che Gerusalemme ha avuto un'importanza storica perlomeno paragonabile?).
Non pare davvero che gli elettori tedeschi siano però disponibili a staccare assegni in bianco - neanche in memoria di Solone e Crizia.
I prossimi due mesi saranno decisivi. L'impressione, preoccupante, è che ormai il nostro Paese sia più spettatore che protagonista. Se lo scorso anno avessimo “messo in sicurezza” l'economia italiana, attraverso un programma di privatizzazioni che rassicurasse i mercati circa la nostra capacità di ripagare il debito e tramite opportune iniziative pro-crescita, ora saremmo spettatori sì ma relativamente tranquilli. Non l'abbiamo fatto, ed è perfettamente possibile che tutti i sacrifici messi finiranno per dimostrarsi perfettamente inutili: siamo sulla traiettoria del tornado.
Chi ha risparmi rischia molto. Ma rischia, in generale, la tenuta della nostra democrazia. Le elezioni amministrative ci hanno consegnato dei partiti spoltigliati. C'è in giro voglia di “nuovo”, ma nessuno che sia in grado di interpretarla. Condizioni economiche vieppiù difficili gonfieranno le vele ai populisti.
La cosa più eroica che le persone di buon senso possono e debbono fare, in queste condizioni, è mantenere la calma e non perdere i propri punti di riferimento. Come dicevano quei poster commissionati dal governo inglese durante la seconda guerra mondiale per risollevare il morale della popolazione: keep calm and carry on.
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