Il professor Monti l'altro giorno ha fatto questo ragionamento: può essere che la pressione fiscale nel nostro Paese sia eccessiva.
Ma finché ci sarà qualcuno che non paga, ci saranno molti che pagheranno troppo. Come dire, dato che non riusciamo in nessun modo a far pagare le tasse a chi di soldi ne ha a palate, ci rivolgiamo alla gente di buon cuore che di soldi non ne ha, ma avendo nome, cognome e indirizzo, è facile da colpire.
I calcoli meno azzardati ci dicono che oggi in Italia, ciascuno di noi (intendiamo gente di buon cuore con nome e cognome), paga il 60% di tasse rispetto a quello che guadagna. L'elenco sarebbe talmente lungo da elencare che non basterebbe questo articolo. Irpef, Irap, addizionali comunali e regionali, Imu. Tasse sulla benzina, Iva. E tutto questo incide poi sulla vita di tutti i giorni. Quando vai a fare la spesa, quando compri o vendi casa, quando vai a fare gli esami del sangue, quando nasci e quando muori. Una montagna di tasse in cambio di che cosa? Di poco o niente. Perché poi c'è tutto il resto. Mettiamo un lavoratore che guadagna 50 mila euro all'anno. Alla fine dell'anno va bene se ne porta a casa la metà. Magari ha tre figli, ma questo non cambia niente. Anzi, è peggio. Iscrivi un figlio all'Università, le tasse non le calcolano sul netto ma sul lordo. Guadagni 50 mila euro, paghi la tassa più alta.
E che dire di quelle migliaia di giovani che stanno cercando di costruirsi un futuro? Le tasse le pagano anche loro, magari su stipendi miseri, ma le pagano. Ma se poi magari vanno in banca a chiedere un mutuo per comprarsi la casa, portando come garanzia la firma dei genitori, che cosa si sentono rispondere, nella maggioranza dei casi? Che il mutuo se lo scordano, perché hanno un lavoro precario ed anche in casi di occupazione a tempo indeterminato, deve essere in corso da almeno due anni.
Nel frattempo giungono in redazione le voci di un possibile intervento del governo sulle indennità di accompagnamento e sugli assegni di invalidità. Le misure in via di adozione prevederebbero di conteggiare, come se fossero redditi, anche gli aiuti monetari che lo Stato riconosce alle persone con disabilità. Peggio, l'Isee, l'indicatore della situazione economica, sarebbe applicato anche ai fini della concessione di pensioni e di indennità di accompagnamento e ad ogni altra prestazione di sostegno all'autonomia personale. Sarebbe triste e inaccettabile. Ieri il governo si è affrettato a smentire, almeno in parte, ma è meglio restare vigili. Con l'aria che tira, una tassa in più non si nega a nessuno.
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