l clic per sapere in tempo reale quanti canguri hanno partorito in Australia ha un suono analogo, solo un po' meno sordo, allo scatto che chiude la porta di una roulotte. Quella che, per centinaia di famiglie comasche, ha preso il posto di una casa in mattoni e acqua corrente e divano di fronte alla televisione.
Un clic, lo stesso suono per due facce differenti di ciò che chiamiamo progresso. Da un lato il volto sano dell'evoluzione, la tecnologia al servizio dell'uomo. Dall'altro la smorfia peggiore di una società votata al suicidio, concentrata troppo sui numeri e sempre più disinteressata degli uomini. I dati dell'Istat, che rivelano come seicento famiglie comasche siano costrette a vivere in baracche, tende, roulotte a causa delle difficoltà economiche, ci consegnano un'allarmante verità: il cosiddetto progresso economico sta producendo effetti inversamente proporzionali sulle nostre vite.
Lo scorrere del tempo dovrebbe coincidere con un lento ma inesorabile miglioramento dei rapporti sociali, delle leggi, delle condizioni di vita, del sapere scientifico. Il che, applicato al caso di specie, avrebbe dovuto tradursi in meno povertà, in una riduzione dei senzatetto e non, come testimoniano invece i numeri dell'Istat, all'esatto contrario. Il tutto condito con l'immancabile paradosso: la presenza, nella nostra provincia, di 49mila case vuote.
È il progresso, si diceva. Quel progresso fatto di ricchezze effimere e squilibrate, di un mercato finanziario che può permettersi il lusso di scommettere - impunito - sul fallimento di Stati interi e ingrassare investendo nel crac di aziende, banche, istituzioni, posti di lavoro andati in fumo. Questo modello, ormai portato all'eccesso, comincia a produrre conseguenze che dovrebbero avere lo stesso effetto delle pillole del film culto Matrix, cioè farci aprire gli occhi: «Pillola azzurra: fine della storia. Domani ti sveglierai in camera tua e crederai a quello che vorrai. Pillola rossa: resti nel paese delle meraviglie, e vedrai quanto è profonda la tana del bianconiglio». Come in quella pellicola, anche noi viviamo in una realtà sempre più virtuale.
Le avvisaglie di quello che il presidente della Caritas comasca, con un'azzeccata sintesi, definisce «lo sfaldamento della nostra società», in realtà le abbiamo sempre avute davanti agli occhi. È che, siccome non ci toccavano, le abbiamo ignorate. L'esistenza di un "terzo" mondo doveva in qualche modo azionare un campanello di allarme, sul fatto che la concentrazione di ricchezze e di privilegi e di diritti in capo a una minoranza non poteva essere né accettabile né sostenibile. Ora che quell'aggettivo ordinale è sempre più vicino, un campanello inizia a tintinnare. «Ormai il disagio - è il presidente della Caritas Roberto Bernasconi a parlare - coinvolge tutti senza distinzione di età, sesso, condizione sociale o cittadinanza».
Abbiamo camminato attraverso il tempo con il miraggio di una crescita continua. Ma è chiaro che il modello economico, sociale e di vita scelto non è più adeguato. «O rimettiamo al centro l'uomo e le opere di solidarietà oppure non abbiamo futuro», ammonisce Bernasconi. E non si sa come dargli torto. Anche se quel futuro fino ad oggi ci sembrava soltanto un clic da noi.
Paolo Moretti
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