Cosa dice, quest'anno, il rapportone? Varie cose spiacevoli sui redditi, diverse osservazioni seccanti sulla disoccupazione e un paio di note davvero moleste sui consumi. Non bastasse, vuol dire la sua su un qualcosa che chiama "mobilità sociale". Non è, questo, un affare da poco. Quando dice che la mobilità sociale, in Italia, è «bloccata», l'Istat annuncia un dato tragico e scoraggiante quanto le peggiori previsioni economiche e finanziarie. Denuncia cioè l'impossibilità, o l'estrema difficoltà, per i cittadini di progredire nella propria condizione: gli operai rimangono operai, gli impiegati restano alla scrivania, mentre professionisti e imprenditori è molto probabile che siano rampolli chiamati a proseguire nell'attività avviata, e conquistata, da padri e madri. Una brutta prospettiva, se ci si riflette. Perché, a prenderla dal basso, è già abbastanza uno schifo essere poveri e precari, ma è ancora peggio esserlo per sentenza definitiva.
Dal primo dopoguerra in poi, la società italiana, nella sua trasformazione a più velocità, nelle interruzioni e nei sussulti e perfino nelle diseguaglianze geografiche, ha sempre dato l'impressione di progredire, ovvero di essere in grado di promettere ai figli una sistemazione migliore dei genitori e ai nipoti una posizione migliore dei nonni. Erano gli anni in cui, pur tra mille tremori e insicurezze, per le famiglie «far studiare» i figli era ancora un investimento sicuro, o quantomeno di ragionevole resa. C'era, in tutto ciò, un'ingenua ma profonda spinta di riscatto, addirittura di redenzione: poter dire «ho il figlio dottore» era poter affermare qualcosa di importante, anche se il «dottore», prima di farsi davvero strada, doveva a lungo accontentarsi di un posto in seconda fila. Come dice Totò nell'indimenticabile lettera dettata a Peppino «il giovanotto è studente che studia che si deve prendere una laura che deve tenere la testa al solito posto, cioè sul collo». Hai voglia, adesso, a prendere la "laura" e tenere la testa sul collo: non basta più, in un Paese che congela i redditi quanto le ambizioni, i mestieri quanto i sogni.
Comunque sia, questa paralisi sociale è un nemico pericoloso. Vista dai gradini più bassi, l'immobilità puzza di privilegio e i privilegi ispirano pensieri cattivi. Addirittura, c'è chi sostiene che le uniche possibilità rimaste di far carriera siano in politica o nel crimine organizzato. Impossibile non pensare con sgomento a quei genitori che invece di visitare i figli in galera, se li ritrovano in Parlamento.
Mario Schiani
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