Pur non nascondendo la realtà («siamo giunti al punto più alto della crisi»), per Verga ci sono tutte le premesse per la ripresa. E lo dice a ragion veduta perché conosce a fondo di che pasta sono fatta gli imprenditori comaschi, piccoli o grandi che siano.
Tenaci, innanzitutto, capaci di adattarsi ai tempi al di là di qualche immagine stereotipata che ancora resiste in certa opinione nell'opinione pubblici. Tenaci e fortemente legati ai luoghi in cui sono nati e dove lavorano. Nonostante le tante cose che non vanno, le imprese comasche mantengono infatti un forte legame con il territorio e sono desiderose di rimanere come è emerso chiaramente al termine dal primo anno di ricerche sul campo fatte del Centro studi dell'economia comasca della Camera di commercio coordinato da Mauro Magatti.
«Un legame - sostiene il sociologo comasco - che scarica sul territorio una nuova responsabilità: affinché questa scelta si riveli propulsiva e non regressiva, occorre concludere una nuova alleanza per la crescita».
Ecco, qui sta il punto. Gli imprenditori comaschi, come assicura Verga, sono disponibili a fare la loro parte. Lo stanno già facendo, non arrendendosi davanti allo spread che aumenta i tassi d'interesse e alle banche che non erogano più credito. Lo fanno prendendo al valigia e girando il mondo come trottole in cerca di ordini per andare avanti. Lo fanno aprendo la porta dell'azienda ogni mattina, con un'assunzione di responsabilità forte difronte alle migliaia di lavoratori il cui destino è legato a filo doppio con il loro.
Da soli però non possono farcela. Da una parte chiedono al governo uno sforzo aggiuntivo per sostenere la crescita. Dall'altra, non sono più disponibili a fare sconti alle amministrazioni locali dalle quali pretendono strade in buono stato, servizi efficienti, tasse giuste, burocrazia ridotta al minimo e con tempi svizzeri.
L'impressione generale è che mai come questa volta il mondo imprenditoriale non se ne sia stato alla finestra in occasioni delle lezioni amministrative. A Como in particolare dove per la prima volta tutte le associazioni hanno condiviso in documento chiaro e pragmatico con i desiderata per l'amministrazione che sarebbe subentrata a quella di Stefano Bruni. Ora su quelle richieste sono pronti a chiedere conto al nuovo sindaco. Su Mario Lucini, prima che dopo l'esisto delle urne, molti imprenditori, in maniera anche inaspettata, hanno fatto un'apertura di credito importante. Pubblici elogi che sottendono a una richiesta d'impegno concreto.
Tra gli imprenditori è comune la richiesta, ad esempio, che Como torni ad assumere il ruolo di protagonista, non solo perché capoluogo amministrativo di questa provincia, ma perché le principali industrie del territorio, quella tessile e del legno-arredo, si presentano sui mercati con un prodotto dove la caratterizzazione territoriale è molto forte. Quel marchio "made in Como", sintesi di un'eccellenza produttiva considerata vantaggio competitivo sui mercati globali, non può prescindere dall'avere alle spalle una città, un territorio, che della qualità, della creatività, dell'innovazione hanno fatto segni distintivi. Se viene a mancare anche solo uno degli elementi che ne formano l'insieme, il valore stesso del brand s'impoverisce.
Si parla di scelte strategiche per la città e non solo. Si chiede, ad esempio, di mettere in atto una seria pianificazione territoriale, che preveda, ad esempio, il recupero all'insegna della qualità e della sostenibilità di aree dismesse per riportare a Como un minimo di attività produttive per integrarle con un mondo dell'università fatto di eccellenze riconosciute a livello internazionale, ma che faticano a dialogare con le imprese ed arricchire il territorio. Per troppo tempo tra mondo dell'impresa e mondo della politica c'è stato una dialogo puramente d'interesse che ha mostrato la corda.
Oggi, lascia trapelare, quella politica non piace più, c'è voglia di dialogare alla pari, di partecipare, di cambiare. Perché il patto per il cambiamento non può funzionare se a firmarlo non si è almeno in due.
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