Un successo sbandierato come il raggiungimento di un ambizioso obiettivo: contribuire alla campagna di risparmio di soldi pubblici che il governo Monti sembra aver intrapreso con una certa decisione. Peccato che in capo ai contribuenti comaschi resti, comunque, un canone d'affitto annuo di almeno 400mila euro per l'ospitalità degli uffici del fisco. A questi si aggiungo i 150 mila euro per il palazzo di via Bellinzona dove ha sede la Direzione provinciale del lavoro (lì il proprietario non ne ha voluto sapere di rivedere il contratto malgrado l'appello di Monti&C); i duecentomila per l'Archivio di Stato.
Ma non basta, un altro fiume di denaro serve a pagare la pigione per l'Inps, l'Agenzia delle dogane in via Regina, la Motorizzazione civile e l'Agenzia del territorio di via Italia Libera. Tutti servizi essenziali, nessuno discute, ma che potrebbero essere ospitati nei tanti edifici vuoti di proprietà dello Stato disseminati in città e che anno dopo anno perdono valore a causa dell'incuria in cui versano, come ogni proprietario di immobili ben sa. Purtroppo, tra le tare di un sistema statale incapace di gestire il patrimonio che possiede, c'è anche la scarsa lungimiranza che pure poteva essere tollerata in tempi di vacche grasse, ma che oggi suona come un insulto al buon senso oltre che a chi fatica a sbarcare il lunario.
Tutto il settore pubblico, dallo Stato fino all'ultimo dei comuni, non si è ancora adattato alle nuove condizioni. È come una famiglia che, a fronte di un reddito che non aumenta, pretende di continuare a fare le vacanze di un mese in Sardegna, uscire a cena al ristorante tutti i fine settimana, concedersi la settimana bianca a Cortina. Insomma, incapace di fare i conti con una realtà profondamente cambiata.
Parole come produttività, efficienza, risparmio in molti uffici pubblici restano concetti astratti con l'aggravante di essere ignorati da persone che hanno ogni giorno a che fare con cittadini che lavorano, pagano le tasse e il più delle volte ricevono un servizio scarso o vessatorio.
Hai voglia di chiedere l'accertamento dei redditi di cinque anni fa, imponendo di portare montagne di scontrini e ricevute per scacciare l'incubo di essere additato come un evasore fiscale, se poi non sei in grado di fare un passaporto in due giorni o darti la possibilità di aprire un'azienda in una settimana.
Non ci sono posti o sezioni dove si annidano sprechi maggiori, è tutto il comparto che va rivisto, analizzato e drasticamente tagliato.
Per stessa ammissione del ministro per i Rapporti con il Parlamento, Piero Giarda, la massa di spesa che oggi è sotto attenzione ammonta a circa un centinaio di miliardi di euro, divisi tra Stato, enti previdenziali, regioni ed enti locali. Se si guarda un poco più lontano, la spesa sulla quale si può intervenire è di importi notevolmente più ampi, si può considerare almeno pari a circa trecento miliardi di euro. Quattrocento miliardi di sprechi che si annidano nelle pieghe nemmeno tanto nascoste della macchina pubblica.
Senza timore di essere accusati di facile demagogia, di fronte a questi scandalosi numeri, non può che indignarsi, chi quest'anno è costretto a rinunciare alle vacanze per pagare la montagna di tasse che ci tocca per rimettere in sesto i conti dello Stato. Dieci manovre correttive modello Tremonti, valgono quei quattrocento miliardi di sprechi. Che, purtroppo, ancora nessuno ha iniziato a tagliare.
Elvira Conca
© RIPRODUZIONE RISERVATA