Una vecchia storia. Mai più le cinquantenni cresciute negli anni in cui il femminismo apriva porte di speranza a una vita non inchiodata all'ineluttabile destino casalingo delle madri, avrebbero immaginato di assistere al ritorno a casa delle figlie.
Eppure questo succede: la realizzazione nel mondo del lavoro diventa più che mai alternativa alla soddisfazione del desiderio di maternità. Riecco l'antica dicotomia: impossibile lavorare e scegliere anche di essere mamme.
È quello che ci dicono i numeri della grande fuga. Più che una fuga, sarebbe meglio dire resa: dopo il primo figlio, nei casi maggior resistenza dopo il secondo, le donne gettano la spugna. A Lecco le dimissioni sono state 195, undici più dell'anno precedente, a Como 285, numero in crescita come a Varese dove da 320 che erano l'anno scorso, gli abbandoni sono saliti a 336. Uno stillicidio che ormai è una tendenza conclamata, ovunque.
A latitare sono le politiche di conciliazione per mettere insieme e non in competizione l'attività professionale e quella famigliare di cui si blatera da sempre senza molto costrutto. Cosa vuol dire? Che c'è una cronica carenza di asili, che quando ci sono costano troppo, e soprattutto che il tempo del lavoro fa rigidamente a pugni con quello delle scuole e dei bambini. Tanto immodificabile che c'è chi molla il lavoro perché il treno arriva con un quarto d'ora di ritardo per timbrare il cartellino. Banalità insormontabili.
Eppure, come si rileva da più parti, non tenere conto della variabile di genere è un modo miope di ragionare: a smenarci alla fine, rinunciando a forze fresche e capaci, è proprio l'economia.
Una mancanza di flessibilità, d'altra parte, che non condiziona soltanto le donne. La tanto auspicata divisione dei compiti di cura all'interno della coppia è solo una dichiarazione d'intenti che di fatto si scontra con pregiudizi durissimi a morire. Qual è il papà, deciso a realizzarsi anche come genitore, che non si trovi di fronte a un muro invalicabile di difficoltà? Intanto le normative di congedo parentale sono molto più penalizzanti di quelle riservate alle loro compagne. Per esempio chi volesse occuparsi del neonato si vedrebbe decurtato lo stipendio del 30% fin dal primo mese.
Tanto le donne sono incoraggiate a stare a casa a fare le mamme a tempo pieno, piuttosto che continuare a ad essere anche lavoratrici a rischio di affanno e distrazione, tanto è ancora inconcepibile che gli uomini propongano alle aziende quello che comunque sulla carta, anche se con forte limitazioni, è previsto dalla legge.
Così, piuttosto che chiedere al capo ufficio il part time ed essere guardati come dementi, sono le mogli a fare un passo indietro. A loro non solo è consentito, spesso è anche tacitamente consigliato.
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