Il quoziente di stupidità raggiunto in queste giornate di terremoto è racchiuso in una scenetta che, ieri, si è vista in tv. L’inviato di un’emittente si è lanciato microfono in resta alla volta del sindaco di un piccolo Comune del Modenese: «Signor sindaco» lo ha incalzato, «pare proprio che il suo sia il paese più colpito». Impagabile la risposta, consegnata nel bell’accento pastoso della zona: «Guardi che non è mica una gara».
Ma se perfino il terremoto non può sottrarsi alla vacuità dei tempi, bisogna che i tempi, pur vacui, riescano a far fronte all’arrivo di questo inquilino antico - letteralmente - quanto la Terra, ma nuovo almeno per l’angolo d’Italia che è andato a tormentare.
Il premier Mario Monti si è lasciato scappare ieri una frasetta un poco terremotata: «Lo Stato farà tutto quello che deve essere fatto per il soccorso, l’assistenza, la ricostruzione e il ritorno a una normale vita civile e produttiva di questa zona così importante d’Italia». Come se una Nazione possa comprendere zone "più importanti" di altre. E infatti Monti si è subito corretto: «Tutte le zone di Italia sono importanti, ma questa è un’area che ha dato prova nel corso dei secoli, dei decenni e degli anni di essere molto industriosa e di giovare allo sviluppo del Paese».
Monti ha ragionato da economista o, se volete, da ragioniere addetto al salvataggio di una ditta il cui bilancio fa acqua da tutte le parti: l’ultimo suo desiderio è che qualcosa gli butti all’aria uno dei pochi reparti produttivi. Brutto a dirsi, ma è così: oggi non si può parlare del terremoto senza pensare alla crisi e accennare alla crisi senza pensare al terremoto. La pianura diventata instabile ingigantisce il pedaggio emotivo che tutti, chi più e chi meno, stiamo versando alle nostre giornate sempre più difficili.
La cronache locali raccontano di malori tra gli studenti allontanati, a titolo precauzionale, da scuole e istituti. In pochi istanti, ieri mattina, fiorivano sui muri virtuali di Facebook e Twitter le tracce della paura - «L’ho sentita!», «Anch’io!», «Tremavano i vetri!» - e del conseguente desiderio di diluirla in un abbraccio comune. Un’ondata di panico alla quale era impossibile sottrarsi, da cui era vano nascondersi: connessi come siamo, la fifa di uno è, per forza di cose, la fifa di tutti.
Dovremo imparare ad adattarci a questa pianura diventata improvvisamente agitata e instabile; soprattutto, dovremo sopportare la rapidità con cui onde sismiche e onde emotive viaggiano di pari passo.
Purtroppo, dovremo anche fare i conti con la stupidità connessa a un’informazione sempre più convulsa e approssimativa. Ma, pur se si tratta di una convivenza umana un poco forzata e largamente virtuale, ci sarà bene un modo per farla lavorare a nostro favore. Dovremmo impegnarla, agile e martellante com’è, per ricordarci l’un l’altro che questa nuova emergenza, pronta a destarsi all’improvviso come la scorbutica impennata di un puledro, va affrontata con l’impegno quotidiano del lavoro, l’intelligenza di una programmazione prudente delle risorse e del territorio, la solidarietà vigile e la razionale applicazione della ricerca.
Ovvero l’arma con la quale, nei secoli, abbiamo affrontato la natura e i suoi capricci: un’umile tenacia da formiche.