Dire cose nuove su un tema antico e a volte anche inflazionato di discorsi come la famiglia non è un fatto scontato. Solo un papa dalla grande intelligenza e dalla grande attenzione umana come Benedetto XVI poteva riuscire nell’intento. Così la tre giorni di papa Ratzinger a Milano è stata densa di sorprese, di conferme ma anche di aperture che gli osservatori non avevano messo in preventivo.
La più importante e per certi versi anche la più inattesa è stata quella che ha riguardato la situazione dei fedeli divorziati. Benedetto XVI sapeva di essere arrivato nella città più moderna e ricca d’Italia, quella più secolarizzata nei costumi, e in cui è più acuta la crisi della famiglia intesa in senso tradizionale. Milano è la città in cui i nuclei composti da una persona sola sono maggioranza rispetto a tutte le altre convivenze; è la città in cui è il tasso di separazioni e divorzi è nettamente sopra la media nazionale. Quindi Benedetto XVI sapeva che la questione non poteva essere elusa, pur in occasione di quella che si proponeva come una grande festa mondiale delle famiglie. In due occasioni, nei discorsi di questi giorni, ha toccato con molta precisione il tema.
La prima è stata durante la bellissima veglia di testimonianze nella spianata dell’aeroporto di Bresso, sabato sera: forse il momento più intenso di queste giornate. Sono stati due psicoterapeuti brasiliani a porre al Papa la questione dopo aver confessato la loro difficoltà davanti ai conflitti che sempre più mandano in pezzi le unioni. Gli hanno anche testimoniato il dolore di vedere tante persone che risposandosi vorrebbero ricostruire un qualcosa di duraturo, ma che sentono come un’esclusione l’impossibilità di ricevere i sacramenti. Era una domanda bruciante, perché veniva da una sofferenza condivisa da loro, in quanto psicoterapeuti. Il Papa avrebbe potuto rifugiarsi in un discorso sulle ragioni che portano alle separazioni delle coppie, sul problema della tenuta morale di una società e così via. Invece ha ammesso con sincerità di non avere "semplici ricette". E ha puntato tutta la sua attenzione sul tema di quella "sofferenza" che, ha detto, non è solo sofferenza di chi sta vivendo quelle situazioni o di chi ne è testimone diretto, ma è «una delle grandi sofferenze della Chiesa di oggi». Se sono esclusi da confessione ed eucaristia, ha detto il Papa, queste persone devono avere la certezza che questa loro sofferenza è un "dono per la Chiesa": un concetto che Benedetto XVI ha ribadito ben due volte in quella stesso discorso. "Dono" è una parola impegnativa e importante: significa che queste persone separate e risposate portano qualcosa alla vita di tutti i credenti. Portano «un soffrire nella comunità della Chiesa per i grandi valori della nostra fede». Anche durante la grande messa di ieri mattina Benedetto XVI è voluto tornare sul tema, con parole ancora di grande premura umana: «Sappiate che il Papa e la Chiesa vi sostengono nella vostra fatica». E ha invitato tutte le diocesi e le parrocchie all’accoglienza e alla vicinanza.
È certamente un approccio nuovo quello del Papa, che non cambia la sostanza delle cose ma cambia lo sguardo: la condivisione, il sostegno e addirittura la valorizzazione dell’esperienza di sofferenza che queste persone stanno facendo, prevalgono sui giudizi morali. I tanti fallimenti che stanno travolgendo le coppie, non sono solo fatti privati, ma sono anche un fenomeno doloroso che tocca tutti.
Il Papa poi, con saggezza molto concreta, ha toccato anche la questione delle ragioni di tante separazioni. Ha ricordato che la chiesa quando due persone si sposano non chiede loro se sono innamorate l’una dell’altra, ma se hanno davvero la volontà di stare insieme per sempre. La Chiesa nel suo grande realismo sa che l’innamoramento ad un certo punto finisce e che la fedeltà deve reggersi anche su altri sentimenti e condivisioni. Invece c’è una visione sciocca e oggi dominante che concepisce gli uomini e le donne come eterni adolescenti, illudendoli che l’innamoramento sia per sempre. Troppe volte anche i credenti invece di prestare ascolto al realismo della Chiesa si lasciano conquistare dalle sirene sentimentalistiche ed effimere della modernità.
Giuseppe Frangi