Fino al 1891 zampillava in piazza Cavour con un'energia tale che neppure il buon poeta Aldo Palazzeschi avrebbe potuto scambiarla per una fontana malata. Eppure di colpo si ritrovò smontata, imballata e infine spedita. Svoltato il secolo, riuscì a rivedere la luce in un parco del Bronx, città di New York, Stati Uniti d'America.
È ancora là, la fontana che un tempo abbelliva piazza Cavour, comprata da William Rockefeller e sistemata nel bel mezzo di un quartiere la cui cattiva fama è diventata un marchio e uno stereotipo hollywoodiano: "Ma che, siamo nel Bronx?", "Peggio del Bronx", "Facce da Bronx". Pensate forse che, in tutti questi anni, la fontana abbia rimpianto per un solo minuto il suo destino da emigrante? Scordatevelo: avrà pure assistito a sparatorie e lotte tra gang, avrà zampillato a beneficio di venditori di crack e papponi assortiti, ma un pensiero (ebbene sì, le fontane pensano) senz'altro l'avrà assistita nelle sue traversie: meglio qui che a Como.
Impossibile darle torto, visto che appena due giorni fa l'impianto fognario sotto la piazza comasca ha deciso di offrire a indigeni e turisti uno spettacolo idrotecnico di rara potenza olfattiva. Meglio il Bronx, certo, anche perché laggiù, tra gangster e spacciatori, qualcuno coltiva ancora il sogno americano. Qui non coltiva più niente nessuno, anche se, a dire il vero, il fertilizzante organico non mancherebbe.
Perché dovrebbe tornare, la fontana, visto che comunque la piazza che la ospitava è diventata, grazie a una sedimentazione culturale durata alcuni decenni, il Grande Vuoto di Como, il simbolo stesso della sua incapacità di decidere, di programmare, di accogliere e, perché no, di stupire? Eccola ridotta a uno spiazzo nel quale, invisibili ma oppressivi, si sono accumulati anni di veti incrociati, sgambetti amministrativi, esperimenti di cecità politica e di avidità ambientale: risultato, il nulla sottovuoto.
Il sindaco Mario Lucini ha qualche idea sul da farsi, ma sostiene che la sistemazione della piazza non è, al momento, una priorità. Difficile contraddirlo quando, solo considerando lungolago e Ticosa, si trova alle prese con un'opera di ricostruzione degna di una stagione post-bellica. Ma se non è una priorità, rimane senz'altro un monito: potremo sistemare, e sistemeremo, gli scarichi rigurgitanti ma finché non daremo alla piazza una forma compiuta non riusciremo a fare un passo oltre il contenimento dell'emergenza. Poco, per una città degna di questo nome.
Negli anni, i progetti non sono mancati, alcuni anche a testimonianza di visioni urbanistiche notevoli, ma nessuno è stato seriamente preso in considerazione, tutti sono stati invece bloccati in osservanza alla regola dei reciproci dispetti e al principio che rinviare oggi significa non precludersi la possibilità di speculare domani.
Dispiace dirlo, ma è il ritornello - la "cifra" si direbbe - che troppo spesso ha contraddistinto la politica amministrativa della città. Per questo chi oggi va nel Bronx sa cosa trova mentre chi viene a Como, pur con tutte le riconosciute potenzialità naturali e artistiche, trova il nulla. O meglio, trova una città la cui piazza principale è un'incompiuta, un invisibile monumento alla procrastinazione e all'insipienza.
Non sarà una priorità, d'accordo, ma per paradosso è qualcosa di più: un vuoto da riempire per poter finalmente comprendere chi siamo e che cosa vogliamo diventare.
Mario Schiani
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