L'ultimo dato, secondo cui 8 studenti su 10 scelgono di frequentare corsi di laurea fuori Como, non è necessariamente negativo. Anzi, se all'inizio dell'avventura universitaria comasca (nel 1989 partirono i primi corsi, nel '98 è nata l'Insubria) un commentatore autorevole come Federico Roncoroni lanciò l'allarme che l'università sotto casa potesse trasformarsi in un grosso liceo, la statistica sugli studenti pendolari (o trasferiti) smentisce, almeno in parte, questo timore. Così se si guarda il bicchiere mezzo pieno, ma sarebbe ingenuo ignorare quello mezzo vuoto: se tanti ragazzi preferiscono iscriversi in atenei più o meno lontani da Como è anche perché sul Lario l'offerta formativa rimane molto limitata.
L'attivazione di una terza facoltà (al tempo si auspicava di carattere umanistico) pareva una priorità, nel '98, per consolidare il polo comasco dell'allora nascente Università dell'Insubria. Ma, dopo lungo dibattito, durante il quale vennero formulate anche diverse ipotesi circa le tipologie di corsi più adatti al territorio (da Lettere a Psicologia, fu un florilegio di proposte), la crisi prima incipiente, e poi dilagante, ha bloccato tutto. Però sarebbe riduttivo, e anche troppo comodo, incolpare delle scelte non fatte soltanto il contesto economico. Como, anche su questo fronte, ha pagato le liti intestine a livello locale, lo scarso peso politico sul piano regionale e nazionale, e più in generale un'attitudine a lamentarsi dell'erba del vicino (in questo caso Varese) sempre più verde, invece si ingegnarsi per rendere rigogliosa la propria.
Ma se le istituzioni non sono state capaci di fare squadra fino in fondo attorno all'ateneo (il progetto ormai trentennale del campus è li a dimostrarlo), non sono però mancate le persone valide che, sia all'interno che all'esterno del mondo accademico, hanno seminato bene e hanno fatto crescere una pianta che comincia a dare frutti importanti alla città. È il caso della scelta compiuta dal Politecnico di puntare su Como come sede per le lauree internazionali: oggi abbiamo 600 studenti stranieri, che contribuiscono a rendere il capoluogo lariano meno provinciale, anche se molti comaschi, quando li incrociano per le vie del quartiere Borghi li confondono con gli immigrati, perché spesso sono originari delle stesse nazioni, come la Turchia e la Cina, quelle emergenti, che crescono rapidamente e mandano qui i loro giovani migliori a imparare competenze da reinvestire in patria. Loro dinamici e curiosi di tutto, noi un po' stanchi e non altrettanto curiosi di loro. Dovremmo prendere esempio.
Anche l'Insubria, con corsi di qualità offerti sia da Scienze che da Giurisprudenza, entrambe ben piazzate nelle classifiche nazionali, ha dato un contributo a far crescere Como: lo dice un'altra recente statistica, secondo cui l'86% dei laureati sono stati i primi a raggiungere questo titolo in famiglia.
Si tratta di dati importanti, sia sotto il profilo culturale sia per le potenzialità socioeconomiche correlate. Ora sta alla nuova amministrazione, e ai vertici dei due atenei cittadini, decidere se vivacchiare o se invece unire le forze per far decollare definitivamente la città universitaria, riprendendo in mano sia l'offerta formativa che la logistica.
Pietro Berra
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