L'acqua che ne esce va ad alimentare un business milionario. Business che c'è anche a monte, con le centrali idroelettiche e gli invasi della Valtellina e della Svizzera (con colossi come Aem, Eni, Enipower solo per citarne alcuni) che poi riversano l'acqua nel grande acquedotto di Lombardia, cioé il Lario. Un grande acquedotto che registra però solo danni in termini di cedimenti delle sponde, porti in secca nel pieno della stagione turistica, moria delle uova dei pesci a causa dei continui cambiamenti di livello dell'acqua.
Una fotografia che, un anno fa, aveva portato La Provincia a condurre un'inchiesta in 28 puntate con l'obiettivo di arrivare a ottenere un risarcimento per i comuni rivieraschi costretti, rubando le parole all'ex assessore provinciale alla Pesca Ivano Polledrotti, «a fare la serva». Tecnici, politici di tutti gli schieramenti e di tutti i livelli, amministratori, ma anche pescatori, albergatori e coloro che vivono e lavorano sul lago avevano lanciato un grido d'allarme univoco. Grido arrivato sul tavolo dell'amministrazione provinciale, che avrebbe dovuto fare da megafono e da guida in una battaglia storica per il Lario. Il presidente della Provincia Leonardo Carioni, però, al di là delle dichiarazioni di intenti ha abdicato al ruolo di capofila. Poco, quindi, hanno potuto fare assessori, dirigenti, ma anche parlamentari e consiglieri regionali e persino ormai ex consiglieri del Comune di Como che, sul tema, si erano spesi con lettere, interventi, proposte. A Villa Saporiti toccava non solo il ruolo di ente coordinatore ma, come detto, di guida. Invece non ha saputo mettere in atto quegli strumenti di pressione politica che avrebbero consentito a consiglieri regionali e, soprattutto, parlamentari (la materia è di competenza statale) di portare avanti le istanze di un intero territorio. Il primo passo, ipotizzato, ma non attuato, passava per l'approvazione in giunta prima e in consiglio provinciale poi di una delibera ad hoc sul tema. Lo stesso documento, per seguire il modello Valtellina (che in materia di lobby territoriale ha parecchio da insegnare), avrebbe dovuto poi essere discusso e approvato da tutti i comuni rivieraschi. Questo avrebbe consentito ai sindaci e per primo allo stesso presidente della Provincia di poter bussare alla porta della Regione chiedendo di essere ascoltato non solo in quanto rappresentante dei cittadini, ma con in borsa documenti e atti di decine di Comuni. L'unico passetto in avanti è stato fatto dai consiglieri regionali che, con un emendamento al cosiddetto «documento strategico» costringeranno la giunta a rivedere – se e quando approverà la relativa delibera - le ripartizioni dei canoni incassati dalle società agricole ed elettriche portando qualcosa anche sul Lario.
E adesso? Adesso siamo alle solite. Con il lago a un passo dall'esondazione perché zeppo di quell'acqua che servirà alle grandi coltivazioni e che, negli anni passati, allagava piazza Cavour talmente tanto da spingere a ipotizzare le paratie che si sono rivelate una violenza alla città. Una violenza per tenere ancora più alto il livello del lago e immagazzinare ancora più acqua da “rivendere” alla pianura. Il passo da fare, accanto a uno scatto d'orgoglio di tutte le istituzioni locali è quello di cercare di ottenere una rappresentanza nella stanza dei bottoni chiamata Consorzio dell'Adda. Solo così il Lario potrà, almeno, tentare di dire la sua.
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