È certamente positiva la volontà di iniziare a ridurre, sebbene con timidezza, le imposte che gravano sul sistema produttivo. In particolare è condivisibile l'idea di togliere l'onere dell'Imu per i prossimi tre anni alle imprese. Ci sarebbe voluto, però, ben altro e di più, dato che se si vuole dare fiato all'economia è diventato indispensabile adottare tagli generalizzati delle imposte e operare una massiccia riduzione della spesa pubblica.
Un altro punto debole del decreto è nella difesa di logiche ormai stantie. Non ha più senso, nel 2012, seguitare a presentare norme, come nel caso del Fondo per la crescita sostenibile, che si traducono nella distribuzione di finanziamenti agevolati. Quello di cui c'è bisogno è invece che sia garantito a tutti quanti hanno voglia di fare e produrre un quadro di minore pressione fiscale e un sistema normativo meno opprimente.
Per giunta ogni misura troppo definita ha fatalmente effetti distorsivi, poiché induce le imprese - per mere ragioni fiscali - a compiere scelte che autonomamente non avrebbero fatto.
È chiaro però che una svolta vera nel campo della politica economica può passare solo da una revisione coraggiosa del bilancio pubblico e del ruolo dello Stato. È una buona cosa che si inizi a tagliare le spese della Presidenza del Consiglio, ma siamo ancora di fronte a numeri troppo esigui. Vedremo cosa produrrà la spending review, ma i segnali non sono incoraggianti, perché nessuno sembra disposto a modificare il rapporto potere pubblico e mercato.
Questo emerge chiaramente anche dall'atteggiamento di fronte alle privatizzazioni. Che senso ha, ad esempio, vendere aziende come Fintecna, Sace e Same alla Cassa Depositi e Prestiti? Quando lo Stato cede una sua impresa a un'altra azienda statale, non abbiamo una privatizzazione, ma poco più che un artificio contabile. Ed è egualmente negativo che il sottosegretario Vittorio Grilli abbia espresso contrarietà all'ipotesi di rinunciare alle quote di minoranza di Eni, Enel e Finmeccanica. Quali che siano i valori attuali di borsa, liberarsi di queste partecipazioni e del parastato nel suo insieme è sempre più urgente, se si vuole abbassare il debito e liberalizzare settori cruciali.
Nel governo, soprattutto, manca la consapevolezza della gravità del momento. Quanti comprano e vendono in titoli pubblici stanno tenendo sotto osservazione l'Italia e chiedono alle nostre autorità di comportarsi con coraggio. Il debito di quasi duemila miliardi di euro peserebbe assai meno se da parte del governo si avviassero un processo di disboscamento delle troppe voci di spesa, una riduzione significativa degli organici, una massiccia privatizzazione delle aziende pubbliche. Da Roma, ieri, sono venuti messaggi flebili e contraddittori.
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