Davvero po' poco per il tesoretto immobiliare del Comune di Como, fatto di ville prestigiose, immobili di uso pubblico, scuole, appartamenti, box, chioschi.
Milioni di metri quadri che potrebbero confluire nel fondo immobiliare che il governo intende costituire per gestire il patrimonio pubblico e metterlo a rendita. Obiettivo: recuperare risorse, attraverso la vendita o gli affitti rivalutati. Come ciascuno di noi sa, nelle situazioni di emergenza non si esita a mettere mano ai beni di famiglia. In genere lo si fa a malincuore, in molti casi ci si deve disfare di qualcosa a cui sono legati affetti e ricordi, ed è sempre un'operazione difficile. Ma nel caso del Comune di Como, tra i tanti immobili che potrebbero essere messi in vendita per salvare l'Italia dal tracollo, veri e propri gioielli poco valorizzati che anno dopo anno stanno perdendo valore a causa delle scarse o inesistenti manutenzioni.
L'elenco è lungo e certo interessante: location di prestigio come villa Olmo, villa Geno, potrebbero tranquillamente comparire sul catalogo di qualsiasi immobiliare a cinque stelle. Quelli, per intenderci che vengono sfogliati dai magnati russi o cinesi in trasferta sul lago di Como a caccia di occasioni per investimenti immobiliari mentre sorseggiano un cocktail a villa d'Este.
Pensare che la dimora neoclassica fatta costruire dal marchese Innocenzo Odescalchi che si affaccia sul primo bacino rende al Comune solo 10 mila euro l'anno, la dice lunga sulle capacità dell'ente pubblico di far fruttare le sue proprietà.
Impresa impossibile, obietteranno gli scettici di mestiere. Forse, ma nessuno finora si è impegnato a imprimere un cambio di rotta.
Ma il modus operandi non è stato diverso, finora, anche di fronte a beni più spendibili sul mercato e che non hanno certo bisogno del principe arabo innamorato delle atmosfere decandenti del Lario, per portare qualche soldo in più nelle casse pubbliche. Appartamenti, box, magazzini, assegnati da anni a canone in linea con il mercato tanto d attirare l'attenzione della magistratura. Lo stesso i 34 chioschi disseminati per la città i cui affitti in moltissimi casi non hanno visto rivalutazione da mezzo secolo. Anche in questo caso la Corte di Conti ha acceso i riflettori.
Il discorso, naturalmente non riguarda solo le proprietà di palazzo Cernezzi, ma pure quelle dell'Amministrazione provinciale, ente giudicato inutile e cancellato da una legge che tuttavia ne ha riportato in vita una versione riveduta e scorretta che rischia di trasformarsi in un pozzo senza fondo per le tasche dei cittadini. A smentire questa impressione basterebbe, ad esempio, la messa in vendita di villa Saporiti con il suo splendido parco che ospita gli uffici di rappresentanza di amministratori che non hanno più ragione d'essere e che potrebbero accontentarsi di ben più sobri ambienti per accomodare le loro poltrone.
Di fronte a tale disattenzione che rasenta l'incuria e forse il danno, la chiamata alle armi che arriva da Monti & company per partecipare alla grande operazione Salva Italia non può che essere vista con favore. L'unico rischio che si spera i Professori non abbiano sottovalutato, è insito nel sistema gattopardesco che avvolge come una coperta tutto quello che ha a che fare con il pubblico. Rendite di posizione, interessi codificati dalle abitudini anche se non da diritto, rappresentano qui lacci e laccioli che frenano qualsiasi cambiamento in Italia come a Como.
Il percorso non sarà facile. Bisognerà innanzitutto evitare l'errore di vendere immobili e poi rischiare di pagare affitti esagerati per utlizzarli (tra le cartolarizzazioni volute da Tremonti qualche esempio esiste anche a Como). In secondo luogo, superare gli ostacoli di campanilismi e corporazioni. E se tra un anno appoggiato alla balaustra vista lago del parco di villa Olmo vedremo un tycoon russo che sorseggia champagne, un po' di colpa sarà anche nostra.
Elvira Conca
© RIPRODUZIONE RISERVATA