Non facciamone una questione di latitudine, per carità: sappiamo bene come infamia, cattiveria e stupidità siano piante grame in grado di crescere nelle condizioni più diverse, sotto il rovente sole tropicale, sferzate dai venti nordici. Non facciamone neppure una questione di razza: se qualcosa accomuna il genere umano da Est a Ovest è proprio la capacità di fare del male per futili motivi.
Facciamone allora una questione di stile e di cultura. Mettendola così possiamo dire, senza sospetto di razzismo o di cieco campanilismo, che questa faccenda, questo obbrobrio di ferire ragazzine durante i festeggiamenti per la Nazionale di calcio, non appartiene a Como né per il dritto né per il rovescio. Non è roba nostra, non la vogliamo, non la riconosciamo e pertanto respingiamo con tutto lo sdegno possibile l'idea che "comasco" sia un aggettivo accostabile a un simile grado di irresponsabilità.
Lo diciamo rendendoci conto che, al momento, i fatti dicono il contrario: il fattaccio è avvenuto proprio a Como, ci sono circostanze per cui è legittimo pensare che il malfattore non sia venuto in trasferta da Oslo e che, per conseguenza, la colpa e la vergogna debbano ricadere sulla nostra comunità. Così è, senza dubbio: non vorremmo ricorrere allo stratagemma dello "straniero di passaggio" per cancellare una vergogna che, al contrario, dovremo scontare da cima a fondo. Vorremmo però appellarci a quel moto istintivo e sincero che, alla notizia proveniente da Monte Olimpino, ha portato ieri i tutti cittadini a commentare, quasi all'unisono, «ma questa non è Como».
Questa non "era" Como, dovremmo forse precisare per onestà e per rispetto alla bimba ferita e alla sua famiglia spaventata a morte. Non era Como ma lo è diventata. E questa è una brutta notizia.
La notizia buona è che, nello sdegno e nell'incredulità, si legge un sincero desiderio di tornare a una comunità più umana e tollerante, più solidale e decente. Ovvero quella Como che ben conosciamo nei suoi tratti distintivi: incapace di slanci clamorosi e sfacciati, di appiccicoso trasporto e di sentimenti urlati, ma capacissima di solidarietà concreta, sempre civile e decente, concreta nel dare e timida nel manifestare la sua generosità.
Nel grido strozzato «ma questa non è Como» c'è tutta quella Como lì: che sospetta di non essere immune dall'imbecillità ma che ancora la sa riconoscere, isolare e rispedire al mittente. C'è la consapevolezza che quando queste cose accadono bisogna fare qualcosa perché l'integrità di tutti venga prontamente restaurata. «Questa non è Como» significa, in sintesi, che per sciagura lo è stata ma non lo sarà mai più.
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