Tutti a terra senza poter godere del vento tra i capelli mentre il paesaggio da cartolina ti scorre a fianco creando l'illusione di una vacanza anche se a pochi chilometri da casa.
Tutti a terra senza poter sognare, chiudendo gli occhi per un attimo, di essere in un posto lontano grazie al vicino seduto accanto che parla francese o americano.
Tutti a terra in questa domenica di luglio quando basterebbe staccare un biglietto per salpare lasciandoti alle spalle per qualche ora i brutti pensieri dei conti che non tornano e dello spread che sale. Lo sciopero di battelli e traghetti che va in scena oggi su tutti i laghi ci riporta brutalmente alla realtà. Purtroppo. Sullo sfondo ci sono i tagli annunciati ai fondi che da Roma ogni anno vengono girati alla società pubblica che gestisce la Navigazione per garantire il servizio. Oggi i soldi dei biglietti riescono a coprire solo la metà dei costi del servizio: sessanta milioni contro trenta come si legge nell'indagine presentata in Parlamento l'autunno scorso alla vigilia delle decisioni sull'inevitabile cambio di rotta. Con i chiari di luna di oggi, proseguire con il saldo dei debiti a piè lista sarebbe impossibile. Senza i contributi dal Governo, tuttavia il servizio di navigazione così come è strutturato oggi non reggerebbe. Abituati a decenni di vacche grasse, inefficienze e sprechi qui come in altri settori pubblici, non ne mancano certo. Ammettere questo, anche da parte del sindacato, rafforzerebbe il peso delle rivendicazioni che non sempre appaiono chiare. Sempre nei documenti ufficiali si legge infatti che «il coefficiente di esercizio oggi è pari al 50% delle sue potenzialità anche se ci sono spazi per salire al 100% con una gestione diversa attraendo una domanda che oggi non è completamente valorizzata». Su chi dovrebbe occuparsi di invertire la tendenza, la nebbia resta fitta. Per ora ci si limita a litigare su a chi toccherò la patata bollente del servizio: lo Stato da tempo lo vuole sbolognare perché lo considera una palla al piede, la Regione che pure lo prenderebbe volentieri in carico chiede di averlo ma alleggerito dai debiti pregressi.
I rischi tuttavia sottesi ad un'operazione di tagli drastici ai trasferimenti come quella che si sta paventando, non sono pochi. I giri in battello non sono certo beni primari anche se sul lago di Como, ad esempio, svolgono anche una funzione di trasporto pubblico che non può essere negata. Detto questo, battelli, aliscafi, traghetti rappresentano uno dei punti di forza dell'offerta turistica che ha ogni anno un peso maggiore e che faticosamente sta cercando di diventare complementare o in alcuni casi alternativa alle difficoltà che accusano le attività tradizionali.
Il turismo tuttavia come tutte le industrie ha bisogno di una buona materia prima di base, di efficienza nella gestione, ma pure di investimenti sul processo e sul prodotto come sa ogni imprenditore che si rispetti. La materia prima non manca: paesaggio, storia, arte e cultura frutto di un'eredità millenaria per fortuna non hanno prezzo e nessuno per ora ce le toglie. Sul resto c'è da lavorare non limitandosi a tagliare i costi in maniera lineare come è tendenza oggi. Prendere esempio dai vicini svizzeri, anche in questo caso, non sarebbe male. Anche nel caso della composizione dell'equipaggio di ogni imbarcazione. Al di là del confine, non si capisce perché lo stesso servizio può essere garantito, senza rischi per la sicurezza, con un numero ridotto di personale rispetto a quello richiesto Italia. Questo significherebbe un risparmio certo anche sui costi di esercizio. Così come l'utilizzo di mezzi più moderni e meno dispendiosi, primi fra tutti i famosi catamarani succhiasoldi il cui varo ha rappresentato l'apice delle scelte sbagliate degli ultimi anni.
Lasciare i battelli al palo per un giorno farà certo rumore ma non risolverà certo i problemi che non sono solo quelli dei soldi che Roma non è più disposta a dare.
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