Decenni di scandaloso bengodi, di nauseanti privilegi, di sprechi, di prebende e regalie hanno comprensibilmente colmato la misura di chi ora è chiamato a fare sacrifici in nome della crisi. E i primi a doversi dolere di una generale allergia a tutto ciò che ha a che fare con la funzione pubblica, dovrebbero proprio essere quei politici che hanno accettato, senza battere ciglio, di essere parte di un circolo ormai incapace di rappresentare il Paese. O quantomeno quella stragrande maggioranza di italiani il cui unico privilegio è - e con la crisi sempre meno - la tredicesima prima di Natale.
Da queste colonne nessuno è mai stato tenero con i politici e i funzionari pubblici pagati ben oltre la soglia della decenza, eppure l'ultimo scontro sugli stipendi agli amministratori cittadini che si è consumato nell'aula del consiglio comunale di Como suona come una sinfonia stonata.
Nessun dubbio sul fatto che Alessandro Rapinese, fosse diventato sindaco, avrebbe molto probabilmente rinunciato a tutto o in parte al compenso previsto per il primo cittadino, ma francamente quei 2.400 euro al mese di indennità, che lui e la consigliera Ada Mantovani hanno proposto fossero ridotti, non suonano come uno scandalo. Anzi.
Era stato l'ex sindaco Stefano Bruni ad abbassare, due anni or sono, i compensi suoi e degli assessori agli attuali livelli. Portandoli a quote ben lontane dalle cifre a cui la casta ci ha purtroppo abituati. È vero che il Comune sta chiedendo sacrifici ai comaschi ed è vero che la crisi morde gli alluci praticamente di tutti, ma far scendere lo stipendio degli amministratori e dei politici sotto una soglia accettabile rischia, alla lunga, di essere più controproducente che utile.
Gli estremi in quanto tali, indipendentemente da dove questi si posizionino, non portano mai lontano. È bene ricordare che l'idea di ricompensare i politici non è un'invenzione moderna, ma venne introdotta addirittura da Pericle 2500 anni fa, per consentire anche alle fasce meno abbienti della popolazione di occuparsi della cosa pubblica. Il giusto stipendio agli amministratori è sinonimo di democrazia. È la garanzia per chiunque, e non solo per chi può contare su un pingue conto in banca, di farsi avanti. E di prendere in mano le redini di un Comune quale quello di Como. Peraltro, non dimentichiamolo, non necessariamente agevole da guidare.
C'è anche chi è convinto che garantire ai politici un buono sia sinonimo di un'ulteriore garanzia, cioè quella di scongiurare che chi si occupa della cosa pubblica sia indotto in tentazioni. In sostanza, sostengono certi, sarebbe un vaccino per evitare la corruzione. Purtroppo questo, a dirlo è la cronaca e la storia recente del nostro Paese, non accade. Anche perché, come canta un rocker americano, il povero vuole diventare ricco, il ricco vuole essere re e il re non è soddisfatto fino a quando non comanda sopra ogni cosa.
Ma così come è sacrosanto pretendere che i politici siano integerrimi e ci amministrino con assoluta trasparenza, è altrettanto giusto accettare che il loro impegno venga correttamente indennizzato. Non con cascate d'oro, ma neppure con stipendi che siano al di sotto del minimo sindacale, nell'accezione - in questo caso - di primo cittadino.
Paolo Moretti
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