In realtà cosa dirà Monti a Lombardo nell'incontro del 24 luglio è chiarissimo: mettere le disastrate casse siciliane sotto l'occhiuto controllo di un prefetto che possa lavorare per un tempo ragionevole: per combinare qualcosa non basterebbero le poche settimane dalla nomina alle elezioni in ottobre. Soprattutto il presidente del Consiglio vuole dare un segnale di rigore all'estero per dire: la Sicilia è sotto controllo, non si ripeterà che l'Unione europea si rifiuti di sborsare 600 milioni di finanziamenti già stanziati perché convinta di gettarli in un buco nero.
Si sa che la Regione Sicilia ha 18 mila dipendenti, più del governo inglese, o della Lombardia che pure conta il doppio della sua popolazione, o del Piemonte che ne ha appena 2mila. Si sa che la spesa per beni e servizi è due volte che nel resto d'Italia e quella per il personale il triplo. Che ci sono decine di migliaia di "camminatori regionali" e di guardie forestali (ma pochi boschi) e squadroni di "dirigenti" super pagati. La Sicilia si trattiene le tasse dei suoi contribuenti cui si aggiungono i normali trasferimenti dello Stato, eppure ha un rosso di 5 miliardi che secondo alcuni potrebbe addirittura raddoppiare. Insomma, il fallimento.
Non che sia tutta colpa di quel colorito personaggio di Lombardo, certo, anche se fa impressione che - mentre annunciava le dimissioni per la fine di luglio - il governatore procedeva a cento nomine di amici, collaboratori e famigli.
Adesso Monti deve mandare un prefetto di ferro a chiudere la cassa prima che si facciano altri guai, e Napolitano è pronto a dargli una mano.
Andrea Ferrari
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