Perché la strategia è chiara: l'unica garanzia che rassicuri la Germania è la certezza che i governi dei paesi deboli dell'eurozona siano sottoposti a vincoli che vadano al di là delle maggioranze politiche presenti nei parlamenti nazionali. Questo almeno finché non saranno in vigore le modifiche dei trattati che obbligano i singoli Stati a cedere la sovranità in materia di bilancio e di politica economica. Solo a quel punto Angela Merkel potrà rassicurare il suo elettorato e dare al contribuente tedesco la certezza di non dover pagare per gli altri. E il motivo è semplice: in Europa non si muoverà foglia che Berlino non voglia.
È adesso l'emergenza. Ma il governo centrale tedesco non investe sull'Europa così come ha investito nella ricostruzione della Germania Est. Gli manca la fiducia perché ritiene i Paesi indebitati incapaci da soli di realizzare uno sviluppo economico fondato sulla stabilità finanziaria. Troppa è la tentazione a sud delle Alpi di avviare la ripresa ancora a debito .Il modello tedesco si fonda su due pilastri: austerità e programmazione. Solo che adesso vi è la traversata del deserto. Prima che venga approvata una politica economica comune gestita a Bruxelles devono passare degli anni.
Nel frattempo i paesi in crisi sono sotto attacco. E da soli non gliela fanno. Non si pensi che a Berlino vogliano la fine dell'euro. Se crolla l'export comunitario in Germania aumenta di colpo la disoccupazione. Quindi l'ideale per i governanti tedeschi è tenere i paesi della fascia sud a bagnomaria nel Mediterraneo, non farli uscire dalla moneta unica ma vincolarli a condizioni tassative. Se poi vanno in recessione peggio per loro. Importante è che non si percepisca la sensazione dello scivolo: una via facile all'uscita dalla crisi.
Questo vuol dire esautorare la volontà politica di governi democraticamente eletti. Ed è questo il vero problema. Tutte le coalizioni politiche succedutesi alla guida dei paesi in crisi sono state chiamate ad una sola scelta: restare od uscire dall'euro. Se decidono di restare a quel punto devono cedere la sovranità in materia di gestione delle finanze pubbliche.
A Berlino fanno la faccia truce salvo poi concedere qualcosa. Il ministro del Lavoro Ursula von der Leyen è chiaro: il rischio è l'effetto domino. Ma l'obiettivo l'hanno raggiunto: Atene è sotto scacco. Così come lo sarà Madrid. E non è un caso che Mario Monti dal primo giorno della sua elezione a capo del governo sottolinei un principio chiaro: l'Italia non chiede niente. Se riuscirà nell'impresa è un miracolo. Perché a questo punto l'alternativa è una sola: o si fanno in modo autonomo politiche di austerità vincolanti anche per i governi che verranno oppure saranno gli altri a imporle.
Alberto Krali
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