Se le Province di Como, Lecco, Sondrio e Varese verranno, come verranno, abolite, nessuna di queste si affermerà sull'altra, ma tutte entreranno a far parte d'una nuova entità amministrativa, che avrà nome, esponenti, attribuzioni, competenze affatto diversi dagli attuali.
Questa è l'unica chiacchiera seria e realistica da spendere, il resto è un ciciarém un cicinìn tanto per ingannare il tempo. Tanto per non pensare al ciclone torrido, soprattutto rimuovere l'affanno che la tragica situazione economica, finanziaria, sociale, politica ci procura.
Tirar fuori oggi, mentre la chiesa laica nazionale cui tutti apparteniamo è in angosciante crisi, una questione periferica di campanile, è davvero stuporoso. Non tanto per il retrogusto alla muffa della cosa, ma per l'angusto arrampicarsi sugli specchi che la cosa medesima evoca. Strabiliante è poi che l'indignazione monti (Monti?) dal versante leghista, dal quale piovvero anatemi sull'istituzione provinciale - assieme a tante consimili istituzioni - prima che venisse conquistata dagli aderenti al padanesimo. Una strategia perseguita, in epoche precedenti, anche dalla sinistra - poi dichiaratasi ex socialcomunista - in attesa dell'affaccio alle stanze del potere.
Proprio il leghismo, assieme a diversi e numerosi partiti e movimenti, fece della lotta a ridondanze, eccessi, e sprechi (burocrazie incluse, e burocrazie amministrative specialmente) la ragione del suo essere. Ora che, per agghiacciante necessità, arrivano i tagli suggeriti e in seguito scordati, viene espressa ruvida e avversa opinione. E per conferirle dignità di causa alta, nobile, disinteressata eccetera, la si veste del localismo identitario, del patriottume sinora rimasto schiscio, di questo e di quell'altro senza dichiarare il motivo vero del grande scontento: la perdita di strapuntini e scranni, cadreghini e cadregotti, poltroncine e poltronissime. Argomento del quale al cittadino comune (al comune cittadino provinciale) non potrebbe importare di meno.
Al comune cittadino provinciale importano due cose.
1) Per convenienza personale, che i servizi di cui adesso egli gode per il mezzo della Provincia, siano in futuro godibili per il mezzo d'altro ente chiamato a sostituire la Provincia. Qualunque sia l'ente, qualsiasi sia la sua rappresentanza.
2) Per sensibilità verso il prossimo, che non abbiano a patir danno i dipendenti costretti a rispondere a una titolarità differente da quella cui rispondono adesso. Per loro sì che ci potremo (dovremo) mobilitare, difendendo la sostanza d'un posto di lavoro a rischio invece che la forma d'un territorialismo come minimo demodé, come massimo astruso.
Nessuno vuol strapparci radici, tradizione, storia, cultura e via elencando il meglio che ci sta a cuore. Qualcuno propone, al contrario, di perpetuarlo unendoci ad altri in analoghe (disperate) condizioni: magari insieme riusciremo là dove, da soli, non riusciremmo più. Se mai ci siamo riusciti, poi.
Perché è da dimostrare che il supposto cemento provinciale - molto supposto: o abbiamo dimenticato quante città volevano la sua bella provincia? - abbia costruito qualcosa d'indimenticabile (perfino di utile).
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