Il secondo, agli occhi del manager con il maglione, è che adesso si permettono anche di venire in casa nostra a proporre la loro merce con lo sconto. Manco fossero cinesi, questi impuniti di tedeschi. Non gli basta più toglierci il sonno con lo spread, con le rampogne sul nostro debito pubblico, con quell'ostentazione muscolare del loro dominio economico sull'Europa.
Ora vogliono invaderci anche con le loro Golf, A4 ecc che nessuno si sognerebbe di comprare (?) senza lo sconto.
Marchionne perciò potrebbe anche avere ragione. Quella teutonica sarebbe concorrenza sleale. Sarebbe, se la Fiat (o Fiad decidete voi) fosse davvero in grado di competere con il gruppo di Wolfsburg. E se non ci riesce, al di là del destino cinico e baro che è sempre una ferrea legge dell'economia alle nostre latitudini, è anche perché i manager della Volkswagen sono stati quantomeno più avveduti di Marchionne nel prevenire e fronteggiare l'inevitabile crisi del mercato automobilistico e nell'andare a piazzare le loro quattroruote nei paesi in cui la ricchezza cresceva.
Se la Fiad (o Fiat) fosse nelle stesse condizioni non dovrebbe temere l'offensiva degli sconti. Magari perché sarebbe in grado di praticarli anche lei.
E poi c'è un altro corno da cui prendere il toro. Che riguarda Marchionne ma non solo lui. È quel vezzo, tutto italiano, nell'economia ma anche nella politica che dovrebbe esercitare il primato (ah, ah, ah) sull'economia medesima.
Siamo tutti liberisti, alle vongole. Sempre e solo in casa d'altri. Nel nostro orticello vogliono dazi, tutele e interventi di quello Stato che diventa poi opprimente, ingiusto e tiranno quando presenta il conto delle tasse o stringe i lacci della burocrazia, per quanto ottusa.
La sortita di Marchionne contro la Volkswagen ci fa capire molte delle ragioni per cui l'Italia non è più capace di crescere. E perché la Germania, calcio a parte, ci batterà sempre. Così si finisce addirittura, incredibile a dirsi, per fornire un alibi al nostro impresentabile, efficiente, sprecone e parassitario apparato statale.
Francesco Angelini
© RIPRODUZIONE RISERVATA