Oggi arriva la statistica ministeriale a tradurre in numeri quello che era da tempo sotto gli occhi di tutti: il capoluogo lariano è tra i territori più edificati d'Italia, all'ottavo posto in classifica con il 19% di suolo ricoperto da mattoni solo un punto in meno della capitale. Cifre che meritano una riflessione approfondita, ma anche pragmatica, in vista dell'approvazione del Piano di governo del territorio, che dovrà avvenire entro il 31 dicembre.
Oggi, nelle cronache, diamo la parola al sindaco e ai costruttori. Ciascuno ha la sua visione del problema. E forse, a pensarci bene, non sono inconciliabili. Queste le linee guida di Mario Lucini: «Non estendere il perimetro dell'edificato» e concentrarsi sulle «aree che devono essere riqualificate» e sul «miglioramento degli edifici vetusti sotto il profilo energetico». L'Associazione dei costruttori sottoscrive, ma aggiunge tre postille: «Ci sono aree verdi su cui le imprese hanno già pagato i diritti edificatori»; «eliminando gli oneri di urbanizzazione i Comuni finirebbero col non poter più prevedere alcun servizio per i cittadini»; «servirebbero normative all'avanguardia per ristrutturare, ad esempio, il centro storico di Como».
Naturalmente gli edili evocano anche lo spettro della crisi, che si aggraverebbe per il settore, e per i lavoratori, se passasse la linea del «consumo di suolo zero». Pure la sorte degli operai va certamente tenuta in considerazione, ma non bisogna perdere di vista quello che, ascoltata l'una e l'altra campana, appare il nodo fondamentale: la città è piena di aree e di immobili da riqualificare, però da una trentina d'anni (da quando il Comune acquisì la Ticosa) non si trova il modo di rendere l'operazione conveniente e sostenibile per tutti, cioè sia per la collettività che per gli investitori privati.
L'esempio più clamoroso di questa impasse è proprio lo spettacolo offerto dalla tangenziale. Che comincia con la spianata dell'ex Ticosa e prosegue con una serie di aree industriali dismesse, per finire con un ex albergo che assomiglia sempre più alla casa della famiglia Addams. Ogni tanto, in uno o nell'altro di questi ruderi, si registrano infestazioni di fantasmi, in carne ed ossa però, e gli unici interventi che vengono fatti sono i sigilli messi a porte e finestre per non lasciarli più entrare. Come se il problema principale fosse quello e non il recupero di una zona così importante e centrale per la città.
Qualche anni fa avevamo già assaporato i vantaggi che sarebbero derivati dagli oneri di urbanizzazione dell'affare Ticosa: via Grandi interrata, con una fluidificazione del traffico e un recupero di vivibilità in superficie. Ma ora auei ricordi hanno il sapore amaro dell'illusione.
E mentre l'archistar Renzo Piano predica lo sviluppo delle città "per implosione", ovvero riqualificando il costruito, ond'evitare la nascita di nuove periferie desolate, a Como è la desolazione ad avanzare sempre più verso il centro storico: oltre all'ex Ticosa, va menzionato almeno l'ex San Gottardo, che fa angolo con il salotto buono della città (piazza Cavour) e il Politeama. Quest'ultimo, se l'amministrazione non vi porrà rimedio, rischia di diventare un nuovo simbolo della decadenza comasca.
© RIPRODUZIONE RISERVATA