In queste settimane il Ministero della Giustizia sta valutando l'ipotesi di alleggerire il carico della giustizia civile mediante il reclutamento straordinario di 230 magistrati onorari e di consiglieri a tempo da impiegare nello smaltimento di 400 mila cause pendenti in Cassazione e in Appello.
Questa soluzione emergenziale non rappresenta una novità in senso assoluto perchè, per fronteggiare l'immane arretrato della giustizia civile, già nel 1997 il Parlamento approvò la costituzione di una "squadra speciale" composta da mille giudici, i cosiddetti "Goa", Giudici onorari aggregati. Si trattava di una figura di "giudici speciali" ai quali fu demandato il compito di smaltire un arretrato di 800 mila cause entro il 2001: inutile dire, che molti di questi giudici continuarono ad operare in regime di "prorogatio" in quanto non fu possibile rispettare tale scadenza.
Il progetto del Ministero della Giustizia è, ora, quello di ingaggiare una task force composta da magistrati a riposo, avvocati e docenti universitari, con il conferimento di un incarico a termine. Come sempre, ci sarà da risolvere il problema della compatibilità finanziaria del progetto.
In ogni caso, occorre ammettere che in questi anni, quando si è parlato dei problemi della giustizia, l'attenzione dell'opinione pubblica si è sempre attestata sul versante della giustizia penale. In realtà sono i guasti della giustizia civile ad esasperare maggiormente il cittadino in quanto l'ampiezza delle problematiche civilistiche finisce per lambire la sua quotidianità.
In particolare, il sistema delle imprese è quello più penalizzato dalle estenuanti lungaggini del processo civile. Un'economia competitiva avrebbe bisogno di una giustizia idonea a garantire la tempestiva tutela delle ragioni delle parti. Invece, come dimostra la Relazione annuale 2011 della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, il nostro paese detiene il primato delle condanne (1.155) per l'eccessiva lunghezza dei procedimenti giudiziari. Questo dato è stato confermato recentemente anche dal Rapporto "Doing Business 2012" della Banca Mondiale il quale, tra i criteri di valutazione adottati per giudicare l'idoneità di un paese a favorire le imprese, ha anche utilizzato quello della tutela giurisdizionale per l'esecuzione dei contratti e protezione degli investitori.
Bene, in base a tale Rapporto, il nostro paese occupa il 158° posto: come dire, investire in Italia risulta aleatorio non solo per la fiscalità ma anche per il basso grado di protezione delle intese contrattuali. La mancata tutela giurisdizionale delle ragioni dell'imprenditore rappresenta, pertanto, una delle cause che penalizzano la capacità di attrazione di capitali stranieri nel nostro paese, come ha velenosamente rilevato nel mese di giugno il Wall Street Journal. Pertanto, solo ricostruendo la nostra credibilità saremo in grado di allettare gli investitori stranieri. Ecco perché i nostri politici devono stare attenti a non scherzare con il fuoco.
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