Parole, parole, soltanto parole. Erano bastate le parole che Draghi aveva pronunciato a Londra il 26 luglio (la settimana scorsa) per placare gli speculatori, far schizzare all'insù gli indici della Borsa italiana e abbassare lo spread.
Il presidente della Bce aveva detto che l'istituto di Francoforte è pronto «a fare tutto ciò che è necessario per salvare l'euro. E credetemi basterà». Frase che i mercati avevano interpretato come l'impegno a trasformare la Bce in "prestatore di ultima istanza". Un ruolo che hanno tutte le banche centrali, non la Bce. Per questo la speculazione si accanisce contro i bond delle economie più deboli dell'area euro e non, ad esempio, contro i titoli pubblici inglesi, la cui economia non sta meglio della nostra. Ma i mercati sanno che in caso di necessità la Bank of England può intervenire senza i vincoli che bloccano la Bce.
Parole, parole, soltanto parole. Quelle pronunciate ieri da Draghi - che ha fatto retromarcia rispetto a Londra - hanno infiammato lo spread (salito sopra i 500 punti) e affossato le borse (Milano ha perso il 4,64%). Mercati volatili, come si dice in gergo finanziario, anche perché in questo periodo gli scambi sono "sottili", inferiori rispetto agli altri mesi e quindi è più facile muovere le quotazioni.
Mercati che fanno il loro mestiere che è quello di sfruttare ogni opportunità di guadagno, in una logica che può apparire contradditoria. Una logica da casinò più che economica. E non basta a consolarci che, come ammoniva Keynes, «quando l'accumulazione di capitale diventa il sottoprodotto delle attività di un casinò, è probabile che le cose vadano male». Come stanno andando per l'Italia. Che paga gli errori e le tante negligenze del passato, ma anche le contraddizioni sulle quali è stata costruita la moneta unica. I leader europei hanno preteso di mettere insieme economie tra loro troppo differenti, nella convinzione - o forse nella speranza - che l'euro avrebbe portato ad una convergenza. Così non è stato. Anzi, la moneta unica ha provocato nelle economie più deboli - Spagna, Grecia, Portogallo e, in parte, anche Italia - un aumento dei prezzi senza che ci sia stata una crescita della produttività. E senza poter recuperare competitività con la svalutazione (come abbiamo sempre fatto con la lira). In più, in Italia non siamo stati capaci di sfruttare i bassi tassi d'interesse per abbassare il debito pubblico. E soprattutto non abbiamo realizzato quelle riforme che avrebbero potuto migliorare l'efficienza del sistema-Paese. Non abbiamo fatto i compiti a casa che ci eravamo impegnati a fare. Così oggi ci troviamo impreparati ad affrontare la crisi. Siamo uno degli anelli deboli dell'Europa. I mercati ne approfittano.
Gianluca Morassi
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