Non più il fenomeno da baraccone, il Frankenstein della tecnologia applicata, l'androide che corre come in un romanzo di Dick. Solo Oscar l'atleta, il resto è polvere.
L'atleta Pistorius è il primo disabile ai Giochi. Ha sbuffato, ha sudato, ha accelerato. Ha guardato il tabellone e ha sorriso. Ha chiuso secondo in batteria in 45”44 col record personale stagionale, il sedicesimo tempo di qualificazione, battuto dal domenicano Santos e dall'emozione.
Purtroppo non gli è bastata la prestazione di ieri sera per andare in finale. Ma la sua Olimpiade, e anche la nostra, Pistorius l'ha già vinta, come spiegava al piccolo Alessandro di Boltiere, nell'ottobre 2008, a Bergamo Scienze.
«Sono amputato come te, che sport posso fare?», gli chiese il bimbo in un sussurro. Risposta: «Quello che vuoi, prova e scegli. L'importante è che ce la metti tutta».
Per abbattere il muro e correre ai Giochi Pistorius ce la mette tutta dal 2004, dal primo oro alle Paralimpiadi di Atene, collezionando medaglie coi disabili (tre ori a Pechino) e rifiuti dalla Iaaf, i soloni dell'atletica internazionale. Troppo vincente, quel tuo handicap, troppo vantaggiose le tue protesi, lo dicono anche gli studi. E poi come la mettiamo con il confine tra natura e scienza e con la filosofia, l'etica, l'antropologia?
Ma il cocciuto Pistorius, la «cosa più veloce senza gambe», ha insistito, lui che le prime protesi se l'è costruite da solo e che un giorno, ragazzino, si ritrovò in camera un pungiball, regalo del padre che lo aveva visto spintonato a terra da due bulletti. Devi cavartela sempre da solo e Pistorius ha cominciato a colpire il pungiball del pregiudizio. Ha mancato Pechino, ha centrato i Mondiali di Daegu, ha continuato a pensare alle Olimpiadi.
Perché solo le Olimpiadi, da Owens alle judoka saudite, spostano avanti la storia, riscrivono fisiologia e antropologia, sgretolano i muri nell'anima, danno un nuovo senso alla parola «normalità».
Solo le Olimpiadi ti possono togliere quell'etichetta di «cosa veloce» e restituirti atleta, anche se su quelle cheetas che sembrano esplosive lasci centesimi di secondo sui blocchi e speranze più alte. «Oscar, sei un uomo bionico?», gli hanno chiesto un giorno. No, «solo un uomo», ha risposto Pistorius. Da ieri è un uomo più vicino al suo aquilone, e noi con lui.
© RIPRODUZIONE RISERVATA