Toberta ascoltami, cantava Peppino Di Capri. Roberto, ascoltaci: è il coro che sale da Como verso Formigoni. Vero che non si vive di sole paratie. Lo ha scritto ieri questo giornale per sottolineare, con un paradosso, l’importanza anche delle piccole cose per i cittadini. Per evitare fraintendimenti pericolosi però à meglio precisare che anche le grande opere contano.
Bisogna ribadirlo di fronte a una Regione che, stando alla denuncia del sindaco di Como, Mario Lucini, sta facendo orecchie da mercante di fronte alla decisione della città di continuare a vivere tranquilla anche senza paratie. Che si tratti della volontà di gran parte della città e non di una parte politica, è chiaro a tutti. A favore del cambio di rotta di un’opera a forte rischio di deragliamento si sono espresse categorie, associazioni, gruppi e singoli cittadini. Se fossero stati ascoltati prima, forse non si sarebbe giunti alla più disgraziata opera pubblica della storia amministrativa di Como (che pure avrebbe un palmares di tutto rispetto in questo senso a partire dalla Ticosa), a un cantiere che ormai da cinque anni ha privato la città del suo lago.
Lucini nell’imporre la svolta, la rinuncia alle mastodontiche e dispendiose (anche dal punto di vista della manutenzione) opere di difesa idrogeologica, ha solo preso atto della volontà della città che va ben oltre il consenso bulgaro ottenuto dal primo cittadino.
La sistemazione della passeggiata, con un innalzamento che consentirà comunque di ridurre il rischio di bagnarsi i piedi, è la richiesta chiara e forte della comunità comasca.
Sembra strano che una voce tutt’altro che flebile non sia stata udita al Pirellone e a palazzo Lombardia che pure, in passato, hanno avuto orecchie alquanto sensibili sulla questione paratie.
Appare strabiliante che un presidente come Roberto Formigoni, nominatosi assessore neppure tanto onorario di Como, non prenda in considerazione, nei fatti che sono l’unica cosa che conta, il grido di dolore che giunge da gran parte della città per sanare la ferita di un cantiere che continua a far male.
Proprio lui, il governatore che non esitò a presentarsi sul lungolago con un ideale piccone per buttare giù il vergognoso e grottesco muro che stava sorgendo davanti a lago. Lo stesso presidente, che in maniera meno eclatante, era intervenuto per evitare ulteriori pasticci nello sciagurato cantiere.
Forse quella denunciata da Lucini è solo una distrazione. Magari è colpa dell’estate. Ma la Regione che ha una responsabilità politica precisa nell’affaire paratie adesso non può lasciare che tutto il peso dell’opera resti sulle spalle di una città che il magro bilancio comunale rende sempre più gracile.
Vero che anche il Pirellone è stato costretto a una cura dimagrante dalla spending review del governo Monti. Ma, viste le dimensioni della cassaforte regionale, il no che sembra arrivare da Milano sui 2,8 milioni necessari a risolvere il contenzioso con Sacaim e partire con la modifica del cantiere, assume un connotato politico.
Anche perché la Regione, a prescindere dalla volontà di accogliere o meno le istanze dei comaschi, ha una responsabilità diretta perché l’oggetto del contendere è la seconda perizia di variante, a cui Milano aveva messo mano.
Il Comune ha già avviato una lettera per chiedere il contributo regionale senza ricevere riscontro. Speriamo si tratti solo di un disguido postale.