Il doping, così pare, non è faccenda per soli marciatori. In altre discipline, per quanto non olimpiche, l'uso di integratori illeciti è pratica ormai troppo comune. La disciplina cui facciamo riferimento, oggettivamente impegnativa, forse addirittura la più impegnativa di tutte, è quella dell'arrivare alla fine del mese.
In questa infinita competizione, c'è chi usa il doping, ovvero l'illegalità, per arrivare prima di tutti, conquistarsi un posto al sole e imporre se stesso, ovvero la sua volontà individuale, sugli interessi della collettività. Altri, più modesti, la usano in modo da assicurarsi pronto cassa un galleggiamento appena sopra la linea di sopravvivenza. Meglio i secondi dei primi, nessun dubbio. Male tutt'e due, però, e anche questo punto andrebbe sottolineato a dovere.
Dalla Guardia di Finanza di Como si viene a sapere che, nel giro di cinque mesi, sono stati smascherati dieci "finti poveri": avevano accesso al fondo affitti del Comune pur senza averne i titoli.
Una forma di raggiro lontana da quella, arrogante e criminale, praticata dagli evasori totali, dai gioiellieri formalmente nullatenenti, dai senza reddito muniti di Ferrari, ma sempre e comunque un tradimento della realtà. Dieci persone che, probabilmente, hanno mentito non per avidità ma per garantirsi il più in fretta possibile un salvagente contro la povertà. Poco male se, per far questo, lo hanno negato a chi ne aveva più bisogno di loro.
Potrebbe sembrare un peccato veniale, un gesto da comprendersi se inserito nel quadro di incertezza e di paura dipinto dalla crisi intorno a molti di noi. Eppure un gesto che resta iniquo e violento se si considera che, proprio ieri, sono emersi i dati Caritas sulla vera povertà a Como: prove inconfutabili di come l'indigenza sia una condizione concreta per molte famiglie, di come la crisi non abbia pietà e non conceda tregua, non ancora almeno. In questa prospettiva, la sottrazione di un aiuto pubblico a chi ne ha veramente necessità e, secondo i parametri di legge, sacrosanto diritto, appare un comportamento imperdonabile, anche quando non dettato da semplice ingordigia ma piuttosto dal timore per l'approssimarsi di situazioni di potenziale difficoltà.
Ne risulta un quadro, per fortuna ancora circoscritto, di guerra tra "quasi poveri" e "poveri sul serio": piuttosto sconfortante, come scena, in un momento in cui, senza scadere in appelli da libro Cuore, un minimo di solidarietà andrebbe auspicata e, comunque, il rispetto delle regole dovrebbe essere più che mai garantito.
Forse anche questo è un segno che potremmo interpretare in chiave sociologica e morale. Forse potremmo imputare il cedimento dei dieci "finti poveri" all'incubo, anche psicologico, che la crisi costruisce ogni giorno intorno a noi e finire per dar la colpa ai mezzi di comunicazione, alla politica sempre avara di risposte e alla società in generale. Chissà, alla fine del ragionamento le persone smascherate dalla Finanza assomiglierebbero più a vittime che a colpevoli. Ma, come per l'atleta pizzicato ai controlli antidoping, un conto è comprendere e un altro è giustificare, cosa, questa, che non ci possiamo più permettere. Anzi, è proprio perché in passato abbiamo giustificato troppo che, oggi, la severità ci è diventata indispensabile.
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