Stefano Bruni, alla vigilia del passo d'addio, fece un'ammissione inattesa, molto forte e di grande onestà intellettuale. L'uscita passò quasi sotto silenzio, schiacciata com'era dall'elenco dei disastri consegnati dalla sua amministrazione alla storia patria comasca. Eppure conteneva una grande verità, che emerge in modo drammatico in questa nuova stagione di crisi. Se a Erba e in altre realtà periferiche gli asili nidi chiudono perché tante giovani famiglie non hanno più i soldi per pagare le rette (e quando possono si affidano ai nonni), nel capoluogo è in atto un fenomeno di segno opposto: cresce il numero di iscritti (263 le nuove domande) e, in parallelo, degli esclusi dai nidi comunali (65).
Il motivo? Una lettura interessante l'ha offerta ieri l'assessore alle politiche educative, Silvia Magni. «Al di là dell'aspetto demografico - ha detto - potrebbe influire anche la crisi. Qualche giovane mamma ha dovuto cercarsi un lavoro e, se non può contare sull'aiuto dei nonni, necessariamente si affida al nido». La conferma è arrivata proprio da una madre ed ex educatrice, Sonia Alpino: «Per noi genitori non c'è scelta. Si lavora in due e i soldi non bastano».
Così tante mamme sono costrette a relegare in secondo piano la cura dei figli nel momento in cui più ne hanno bisogno, spesso già a pochi mesi di vita.
Da decenni si parla - a proposito e a sproposito - di politiche per la famiglia e di aiuti per le coppie con figli. Parole. Parole. Parole. La sostanza è una legge sulla maternità dignitosa (ai tempi era all'avanguardia ma comincia ad accusare il peso degli anni), assegni familiari risibili e qualche sortita da campagna elettorale come il bonus bebè (per altro finito in archivio già durante l'epopea berlusconiana). Anche il sostegno del Comune - in netto calo negli ultimi anni - si riduce alle fasce più disastrate, di interesse per i servizi sociali.
La realtà è che le giovani famiglie sono lasciate sole e che diventare genitori è oggi un'impresa a cavallo tra l'incoscienza e l'eroismo. Di più. Se la giovane mamma rinuncia a seguire un neonato nel 90% dei casi non è per egoismo, ma perché è davvero in difficoltà. Tanto più che si trova poi costretta ad accollarsi rette che arrivano fino a 570 euro e che finiscono spesso per dimezzarne l'effettivo contributo al bilancio familiare.
È vero, le rette sono alte perché il servizio costa tanto. Ed è altrettanto vero che l'ampia rete di nidi cittadini, realizzata con lungimiranza dalla Giunta Spallino negli anni '70, determina ogni anno una falla importante alle finanze del Comune, per altro già in grave difficoltà. Resta il fatto che non si può pretendere di gestire i nidi secondo la logica aziendale del profitto e delle perdite, altrimenti andrebbero chiusi tutti.
Invece no. Se questa amministrazione vuol fare tesoro delle ammissioni di Bruni e marcare con decisione un cambio di passo, dovrebbe dare un segnale proprio nel campo delle politiche familiari, magari andando a rivedere al ribasso le rette. La proposta è chiaramente provocatoria, ma sulla bilancia dei risparmi e delle spese - ne siamo certi - ci sarà sicuramente qualche voce meno essenziale che si può tagliare senza troppi rimpianti. Così il Comune darebbe un sostegno concreto alle famiglie e il sindaco Lucini, magari tra dieci anni, eviterà un commiato pieno di rimpianti come quello di Bruni.
Emilio Frigerio
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