Negli anni '80, quando le Camere all'inizio d'agosto chiudevano i battenti per le vacanze, l'inesorabile Marco Pannella si presentava al guardiaportone di Montecitorio e dichiarava l'occupazione pacifica del palazzo contro lo scandalo delle vacanze troppo lunghe dei signori onorevoli. Si piazzavano in qualche ufficio, lui la Bonino e qualche altro radicale, e tra le coccole dei commessi che portavano rinfreschi dalla buvette, aspettavano di avere soddisfazione. Che non arrivava mai naturalmente - le ferie sono ferie - ma veniva compensata dalla possibilità di ottenere qualche indignata intervista in tv. Insomma, già allora le vacanze dei deputati costituivano motivo di (limitato) scandalo: erano lunghissime, duravano due mesi tondi; dai primi caldi ai primi freschi il Transatlantico diventava un deserto popolato solo di qualche vecchio cronista parlamentare, perché i giovani nel frattempo venivano spediti nelle località marine a fare le cosiddette «interviste sotto l'ombrellone» ai politici in ciabatte, tanto sudate quanto inutili. Certo, c'era sempre il rischio della crisi di governo estiva, un diversivo molto apprezzato, ma senza fallo l'incombenza si risolveva entro i primi giorni d'agosto, poi tutti al mare, promossi e trombati insieme. Altri tempi. A quella classe politica tutto veniva rimproverato - piove, governo ladro! - tranne il piacere di concedersi almeno otto settimane di relax. Era una consuetudine scontata e consacrata.
Oggi invece il cittadino comune è, in larga parte, convinto che il parlamentare sia un fortunato che senza troppi meriti ha trovato un posto al sole fin troppo ben pagato e arricchito di privilegi. Per di più l'elettore pensa che, essendo noi in crisi economica, occorrerebbe pure che lor signori si guadagnassero lo stipendio sgobbando per farci rimontare la china. E che ti fanno invece i parlamentari? Vanno in ferie: quest'anno per ben ventisette giorni. Ventisette, avete capito? Meno della metà dei deputati e dei senatori di venti o trent'anni fa, ma anche meno di quel che si faceva, per dire, nel vicino 2006. Montecitorio e Palazzo Madama hanno deliberato le ferie più corte della storia repubblicana, per di più con l'obbligo per i parlamentari di rimanere nei pressi nel caso la crisi finanziaria si avvitasse in una nuova emergenza.
Tutti sanno che il Parlamento, già con il governo Berlusconi e soprattutto con Monti, perlopiù ratifica le decisioni del governo: dunque, perché restare a Roma, a sudare senza costrutto? Il punto è che mai come questa volta la pubblica opinione ha stroncato quei miseri ventisette giorni: su Internet, Facebook, Twitter, reggimenti di catoni e di savonarola hanno tuonato contro i pelandroni. Ironia della sorte: proprio quest'anno che i politici potevano fare la figura dei virtuosi.
C'è stato un deputato, un plurimarche pugliese, che ha sfoggiato un po' di smaliziato cinismo: «Meno lavoriamo e meno danni facciamo, meglio se stiamo a casa», ha dichiarato. Purtroppo è una constatazione non priva di una qualche verità.
Andrea Piadini
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