La politica incastrata in una strettoia

L'ultima generazione di comaschi che ha ricordi in bianco e nero, ai tempi dell'infanzia sentiva spesso parlare, quando qualcuno discorreva a proposito della sponda occidentale del lago, della matta di Colonno e delle strettoie della Tremezzina.
A più di otto lustri di distanza, della povera matta si sono perse le tracce, anzi nel frattempo hanno pure chiuso i manicomi. Per fortuna, altrimenti ci finirebbero gli sventurati habitué della strada Regina. Pazzia da traffico reiterato, potrebbe essere la diagnosi.
Perché le strettoie della Tremezzina sulla Statale Regina, sono sempre lì, più o meno. Immarcescibili di fronte al progresso tecnologico, alla fioritura di infrastrutture viarie avvenuta nel frattempo altrove (sull'altra sponda del Lario, tanto per andare lontano, che l'altro ieri ci ha fatto pagare pesante pegno), sempre meno adeguate ad automezzi che nel tempo si sono gonfiati come capi di bestiame nutriti a estrogeni.
Dietro alla rabbia di coloro che sono rimasti in coda sotto le lamiere roventi d'agosto, dietro la frustrazione dei sindaci dei Comuni rivieraschi, dietro la vana fatica delle forze dell'ordine, ci sono quarant'anni di promesse vane, di fallimento della politica.
Questa benedetta variante della Tremezzina continua a essere inafferrabile, agognata e incompiuta e rischia di restarlo visti i chiari di luna delle finanze pubbliche. Ma anche, va detto, alla luce di un potere contrattuale di un territorio del Profondo Nord che si fa sempre più flebile.
Nella strettoia di Sala Comacina si incastra anche un bel pezzetto di questione settentrionale.
A nulla è valso coprire di voti forze ed esponenti politici che si dicevano pronti a partire lancia in resta in nome degli interessi del territorio. Come è stato inutile inseguire l'Araba Fenice del federalismo, ideale quanto effimero balsamo per tutti i malanni del Nord.
Il problema vero e drammatico è l'impressione che si sia entrati nel tunnel senza luce del "chi avuto ha avuto". E che ne dovrà passare di acqua nel lago così come di colonne infinite sulla Regina a ogni incrociarsi di un pullman e un Tir nelle strettoie, prima dell'eventuale happy end.
Quasi quindici anni fa, in occasione della drammatica alluvione che colpì molti centri dell'alto lago, un prefetto fuori ordinanza rimasto a Como troppo poco, Efisio Orrù, disse a muso duro all'allora sottosegretario Franco Barberi: «Guardi che l'emergenza della Regina non è legata all'alluvione. È un'emergenza continua». Fu forse l'ultimo vano sussulto di un sardo che, in nome della dignità dello Stato che rappresentava, si fece baluardo del territorio lariano.
Che da questi parti si viaggi sulla cattiva strada non lo si deduce solo dall'eterna vergogna della Regina. Emblematica è anche la tangenziale di Como che sta per essere costruita monca. Solo uno dei due lotti vedrà la luce. Per l'altro chissà. Troppo costoso, dicono. E fa nulla che sia atteso anch'esso da quarant'anni.
La sua sorte, sempre più precaria, è appesa a quella di un'autostrada fantasma che da Varese dovrebbe portare a Lecco. Fantasma. Come la politica per le infrastrutture viarie nel Comasco.
La tangenziale dimezzata è il simbolo di una realtà dimenticata come appare oggi il nostro territorio. Una realtà che ci sta stretta. Senza bisogno di eternare anche i pertugi della statale Regina.
Dai tempi dei romani la civiltà di un popolo si misura anche dalle sue strade. E noi siamo messi proprio male.

Francesco Angelini

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