Prima di tacciare di qualunquismo l'incipit di cui sopra, un suggerimento: cercate su internet l'intervento fatto il primo agosto scorso a Palazzo Madama dal senatore Giuseppe Astore.
Una volta trovato il video gustatevi ogni istante della prestazione offerta dal "nostro" parlamentare e chiedetevi: gli italiani si meritano davvero simili rappresentanti?
L'onorevole Astore, nel corso del suo appassionato intervento, riesce a dar vita in pochi minuti a tutti i luoghi comuni sulla Casta dei tanti privilegiati che albergano - a spese nostre - nei palazzi della politica. Roteando il dito come un consumato tribuno, ma inciampando tra le insidie dei tempi verbali, l'ex esponente dell'Italia dei Valori pretende dal presidente del Senato una difesa d'ufficio di quella che lui chiama la «dignità» e il «lavoro di un parlamentare. Invece i parlamentari - chiosa - vengono chiamati» a lavorare «anche di lunedì, come se fossimo delle bestie che devono essere tirate perché dobbiamo dimostrare all'opinione pubblica che noi lavoriamo».
Non pago dell'incauto esordio (non si comprende infatti a quale titolo, a fronte di oltre 13mila euro netti al mese tra indennità e prebende, un senatore possa non lavorare il lunedì, mentre lo debba fare, ad esempio, un operaio a 1.200 euro al mese) il senatore Giuseppe Astore si erge pure a paladino dei diritti dei poveri parlamentari rimasti senza «mensa», semplicemente perché dopo lo scandalo dei menù al ristorante dei parlamentari (spaghetti alle alici 1,60 euro, risotto con rombo e fiori di zucca 3,34 euro) i prezzi sono stati rivisti al rialzo svuotando i tavoli. «È un'offesa - riesce a dire - scendere al ristorante e vedere che non c'è più nessuno, quando prima era sempre animato. Io ho diritto al ristorante, come vi hanno diritto tante persone. Si deve pagare il giusto, e non come sta accadendo oggi».
Medaglia d'oro. La prestazione di Astore - purtroppo non un caso isolato - trasforma la discussione sulla riforma elettorale in una barzelletta.
Alla luce delle scandalose e impunite parole pronunciate da un privilegiato che non si fa remore a sbattere in faccia a una nazione in crisi la propria fiera appartenenza alla Casta, non solo si dovrebbe restituire ai votanti il diritto di indicare direttamente nome e cognome dei propri deputati, così che questi non vengano imposti dalle segreterie di partito. Ma si dovrebbe estendere un simile diritto anche ai senatori. La politica italiana è in ginocchio. Serve un atto di coraggio. Ma, forse, prima sarebbe importante trovare un "coraggioso". Astenersi Astore.
Paolo Moretti
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