Se fino all'inizio degli anni Ottanta erano i comaschi a partire per la Cina con la valigetta in mano e il portafoglio pieno per acquistare la seta grezza da trasformare nei tessuti da favola che riempivano le boutique più prestigiose in tutto il mondo oggi sono i ricchi imprenditori e gli esponenti della nuova borghesia cinese ad aver scoperto Como e le sue bellezze.
Ancora non sappiamo se i gruppetti di turisti dagli occhi a mandorla e dai modi gentili che affollano le vie della città murata in questi giorni di afa estiva sono approdati sulle rive del Lario sospinti dall'eco dei ricordi dello storico legame tra Como e le zone del lago Tai e dello Sichuan vocate alla produzione del prezioso tessuto, sta di fatto che Ferragosto ha certificato una tendenza che gli operatori turistici lariani stavano registrando con attenzione - e con comprensibile soddisfazione - da qualche tempo.
Numeri ancora risibili (poco più di tremila le presenze cinesi sul Lario nei primi tre mesi dell'anno), per carità, ma sufficienti ad alimentare la speranza che la globalizzazione che ha dimezzato il peso dell'industria tessile comasca, oggi inizia a risarcire Como con un flusso crescente di sonanti e preziosi yen. Secondo l'Organizzazione mondiale del turismo nel 2020 saranno cento milioni i cinesi che viaggeranno all'estero. La domanda da porsi in questo momento è: Como è pronta a raccogliere questa sfida, o dovrà accontentarsi solo delle briciole di una torta che si preannuncia gigantesca? Oddio, anche così non sarebbe poco, ma pensare in grande non fa mai male.
Farsi cogliere impreparati non è permesso anche perché parliamo di un turismo tutt'altro che tradizionale, che ha imparato a viaggiare da poco, che difficilmente si può conquistare solo sfoderando i soliti luoghi comuni sulla cultura e le bellezze naturali. Più che il profilo decadente della punta del Balbianello o la storia trecentesca che si legge nelle pietre della facciata del Duomo, ad attirare i nuovi viaggiatori cinesi c'è il richiamo dello shopping, come dimostra anche uno studio pubblicato l'anno scorso da Goldman Sachs: insomma, il turista cinese spende molto in shopping e beni di lusso. Secondo una relazione della China Tourism Academy, il 52% dei cinesi ottiene informazioni sulle destinazioni da visitare tramite internet: noi siamo completamente sguarniti o quasi su questo fronte.
E i problemi non finiscono qui: si va dagli hotel che si dimenticano di rifornire le stanze con thermos di acqua calda- fondamentali per accogliere un turista cinese secondo i suggerimenti di chi per lavoro la Cina la conosce e la frequenta da decenni - a depliant e brochure scritti in mandarino, o incapaci di parlare ad un tipo di turista diverso da quelli conosciuti fino ad ora.
Como tuttavia ha un grande vantaggio competitivo, come si dice oggi, rispetto ad altri territori, e deriva proprio dallo stretto legame che da due secoli lega a filo doppio l'industria tessile comasca con l'ex Celeste Impero. Tra i vecchi setaioli si racconta che negli anni Settanta l'italiano più famoso in Cina fosse il cavaliere Antonio Ratti. Personaggio comasco fin nel midollo che, visto il profilo e le capacità imprenditoriali dimostrate, non può che aver seminato bene in quelle terre lontane. E allora perché non partire da qui non solo per rispolverare vecchi ricordi ma per siglare un'inedita alleanza d'interesse anche solo per la promozione del territorio comasco tra il modo tessile e quello turistico che, vuoi per snobismo dell'uomo e disinteresse dell'altro, scarsamente si frequentano. Allora sì che sarebbe davvero una "Via della seta" d'andata e ritorno.
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