Ogni tanto, però, capita di incrociarle con gli occhi: magari perché ne abbiamo assicurata una alla porta del frigo, con un piccolo magnete colorato, giusto per aver modo di ricordarci quanto era blu il mare di Sardegna, o quanto era rinfrescante il bosco prossimo alle Dolomiti. Ma, soprattutto, le abbiamo messe lì per tenere sempre a mente come era felice il sorriso dei nostri cari, buffa e tenera la nipotina, rossa come un peperone la faccia della nonna, anche se, per tutto il tempo, rifiutava di spostarsi un metro dall'ombrellone. Addirittura, grazie ai social network come Facebook, oggi diventano un po' nostre anche le vacanze degli altri: toh, Tizio è stato in Sicilia; Caio, invece, propone i suoi scatti dal Portogallo: parrebbe che si sia divertito.
Tutto contribuisce a creare l'impressione che, nelle nostre vite, ci sia almeno un'oasi su cui possiamo contare, una parentesi luminosa nella quale godere appieno, senza interruzioni, dell'affetto familiare: ci prende per questo un senso di appagamento. E di gratitudine
Purtroppo non è così. Indifferente ai nostri progetti, la vita, in complicità con la morte, può portarci via tutto, anche in vacanza. Il nostro progetto diventa allora una tragedia, il sorriso diventa pianto, l'aspettativa smarrimento, la felicità dolore. E la foto appesa al frigo è ora un rettangolo nero, il più scuro che si possa immaginare.
Non è possibile pensare a destino più crudele di quello toccato alla ragazzina comasca di dodici anni morta in una buca di sabbia. I genitori sanno che il pericolo da cui curarsi al mare è, appunto, il mare. Tremano all'idea che possa accadere qualcosa di terribile ai figli se anticipano loro, anche di un solo minuto, il permesso di fare il bagno. Hanno mille occhi per loro quando si avvicinano alle onde, quando entrano in acqua anche per pochi metri. "Stai attento, le onde sono alte. Non allontanarti. Fatti vedere". La sabbia, invece, li illude di essere zona franca. In un certo senso, la sabbia è il giocattolo più grande a disposizione di un bambino il quale, infatti, la piega ai capricci dell'immaginazione: la scava per farci una galleria, la bagna e la compatta per elevarla a torre e a maniero, la delimita per trasformarla in pista e, quando proprio è arrabbiato, la scaglia contro quel dispettoso che gli ha calpestato l'ultimo capolavoro. La sabbia non spaventa i genitori: al massimo li esaspera. "Guarda come sei conciato, vieni a darti una pulita". Il pomeriggio passato da un bambino a giocare nella sabbia può perfino diventare la famosa foto da appendere al frigo, tanto per dirgli, un giorno, mesi dopo, con un sorriso indulgente: "Ti eri divertito quella volta, eh?"
La tragedia di La Teste-de-Buch è due volte più inaccettabile perché costruita secondo una dinamica che azzanna alla gola con una crudeltà folle, prende di sorpresa le nostre paure aggiungendone una nuova, del tutto inaspettata, e punisce ferocemente una famiglia colpevole solo di aver cercato la serenità. Un dolore come questo non conosce consolazioni se non quelle, lente, della spiritualità e della solidarietà. E quella del tempo, anche: per noi esseri umani condanna a un'esistenza transitoria e insieme linimento provvidenziale perché, con il suo scorrere, impercettibilmente, secondo dopo secondo, con valorosa tenacia, il dolore di oggi possa diventare il ricordo di domani e i dodici anni di quella povera bimba, così pochi e dunque tanto più preziosi, brillino infine non più di luce cupa, ma dolce e soave.
© RIPRODUZIONE RISERVATA