«Se qualcuno ha deciso di ammazzare le famiglie dei minatori, allora ci tagliamo noi» ha gridato prima di estrarre di tasca un coltellino. I suoi compagni l'hanno bloccato in tempo, ma quell'immagine è stata choccante, per loro e per tutti. Quello di Stefano Meletti non è stato un regalo per le telecamere, ma un gesto dettato da una disperazione vera, autentica. La disperazione di chi sa che dopo la perdita del lavoro, in quella zona d'Italia, c'è solo il baratro della fame. Per sé e per i propri figli.
Sono scesi nel ventre della terra domenica sera e da quattro giorni stanno stanno lì in compagnia dei grilli, dell'olio lasciato dal passaggio delle fresatrici e da un caldo umido che toglie il respiro. La miniera di Nuraxi Figus rischia la chiusura. Non per una questione economica o di mercato, denunciano in molti, ma per una scelta strategica dell'Enel che avrebbe escluso la Sardegna dai prossimi piani di investimento. Una scelta incomprensibile se si pensa che persino il presidente nazionale dei geologi, Gianvito Graziani, si è schierato dalla parte dei lavoratori del Sulcis, denunciando come «in Italia ci siano materie prime che preferiamo invece importare dalla Cina».
Tutte queste cose Stefano Meletti le conosce bene, come i suoi compagni che ieri hanno parlato ai giornalisti davanti alla casermetta dove sono custoditi 690 chili di esplosivi e 1221 detonatori. «Siamo pronti a tutto» - ha detto uno di loro, indicando con il dito la stanza blindata. Aggiungendo solo: «E' l'ora de sa bravura» (esplosivo in sardo ndr). Questa è gente seria, gente che fa un lavoro al limite della sopportazione, a centinaia di metri di profondità, dove la fatica si moltiplica ad ogni gesto. Eppure non si lamenta, non chiede nulla, se non di poter continuare a far fatica, a fare il proprio lavoro. «La nostra battaglia- dicono- non ha un colore politico, ma il colore del pane». Con loro ci sono anche quattro donne, tutte "figlie d'arte", con generazioni di minatori alle spalle. «Sono il segno- sottolineano i loro compagni- che noi teniamo alla famiglia come valore fondamentale. Ci ricordano i vincoli e gli obblighi di un padre di famiglia, il lavoro, il pane».
Il grido che si leva forte dalle miniere del Sulcis, è lo stesso grido che si leva da molte parti del Paese. E' arrivato il momento di guardare alle persone e non solo ai conti, allo spread e ai titoli di stato. Davanti alla miniera di Nuraxi c'è un cartello: «Non fateci perdere la ragione… e la ragione di vivere». C'è gente che rivendica semplicemente il pane e la possibilità di poter guardare in faccia i propri figli, senza dover abbassare gli occhi per la vergogna. La disperazione di questi uomini è piena di coraggio e di dignità e per questo non può restare senza una risposta.
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