Ecco perché trovare scritta, in un lunghissimo elenco di rivendicazioni e contestazioni da parte dell'impresa Sacaim (che si era aggiudicata l'appalto per la realizzazione dell'opera), la cifra di 207mila euro «per la costruzione, demolizione, movimentazione e trasporto in discarica del materiale di risulta con i relativi oneri di discarica» non può che suonare come una beffa per chi, il conto, lo sta ancora pagando. Un conto fatto di anni senza vista lago, di cinque estati con parte della passeggiata inaccessibile e dei pochi tratti percorribili ridotti a un percorso di guerra.
Dei responsabili dello scandalo l'unico a pagare con le dimissioni è stato l'ex assessore Fulvio Caradonna. Tutti gli altri sono rimasti al loro posto (i funzionari regionali, provinciali, comunali, i politici che quel progetto lo hanno pensato e voluto già dal 1994), incominciando dall'ex sindaco Stefano Bruni, che ha comunque completato il suo mandato, anche se il suo nome resterà ancora per molti anni legato alle quattro lettere (m, u, r, o) impronunciabili per i comaschi.
I cittadini di Como, anche se molto probabilmente il Comune non pagherà mai quei 207mila euro, non meritano uno smacco simile. Non si può, sebbene l'impresa abbia dalla sua una serie di buone ragioni per alzare la voce, chiedere di pagare quello che è il simbolo del più grande affronto che si ricordi. Sacaim aveva detto che avrebbe demolito "il mostro" a titolo gratuito e lo stesso Bruni tre anni fa aveva parlato di cifre irrisorie. Adesso, tre giri di calendario più tardi, si scopre che anche dal punto di vista economico il muraglione non era un dettaglio trascurabile.
E il guaio è che lo spettro del muro è ancora lontano dallo sparire. La seconda variante, quella che avrebbe dovuto essere, secondo tutti, la soluzione del disastro, è giudicata irrealizzabile dalla stessa impresa. Il concorso di idee lanciato dal presidente della Regione è diventato un cumulo di carte e pure materia d'indagine per la Corte dei Conti.
I prossimi mesi saranno cruciali. Il sindaco Mario Lucini è deciso a eliminare la parte idraulica e a cambiare il progetto. Ma gli ostacoli sono tantissimi: legali, progettuali, economici. Insomma, nessuno oggi vede la luce in fondo al tunnel (cominciando dalla riapertura del primo lotto nell'estate 2013) e il rischio di restare nelle sabbie mobili in cui si sono trasformate le paratie è molto alto. Il conto, per i comaschi, è quanto mai aperto. E lo sarà ancora, nella migliore delle ipotesi, per altri tre anni. I 207mila euro sono uno schiaffo amarissimo in una vicenda che vede la parola fine molto, molto lontana.
Gisella Roncoroni
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