Le interviste di Molinari hanno avuto l'effetto di riaprire una vecchia e mai risolta questione che si riassume nella seguente domanda: l'attività del pool di Mani pulite che portò all'affondamento dei partiti di governo della Prima Repubblica nella cosiddetta stagione di Tangentopoli, ebbe una qualche copertura internazionale, segnatamente da parte degli Usa?
Da tempo le «vittime» dei giudici, intesi come militanti e dirigenti dei partiti impallinati, nutrono questo sospetto, e Antonio Di Pietro ha dovuto in più occasioni negare di essere stato «un uomo della Cia» e un suo strumento nella delegittimazione di Bettino Craxi e Giulio Andreotti, in quegli anni considerati a Washington troppo filoarabi e soprattutto resisi invisi alla Casa Bianca di Ronald Reagan a causa del cosiddetto scontro di Sigonella.
La tesi degli accusatori dei giudici di Milano è: quando la Guerra Fredda si esaurì e fu possibile modificare gli equilibri politici anche in Italia, gli Usa non solo consentirono ma addirittura coprirono l'azione moralizzatrice della magistratura contro la classe italiana di governo. Accusa sempre respinta non solo da Francesco Saverio Borrelli e dal suo sostituto D'Ambrosio ma soprattutto da Antonio Di Pietro, il più «coinvolto» nei sospetti, forse anche per il suo passato di poliziotto.
Bene, le interviste di Molinari confermano millimetricamente quelle accuse, con testimonianze tanto più significative perché vengono proprio dalla parte dei protagonisti della diplomazia yankee dell'epoca, che tuttavia danno conto anche di una certa articolazione dialettica all'interno del Dipartimento di Stato. Ricorda Bartholomew: «Al consolato di Milano, al tempo del mio predecessore Peter Secchia, c'era qualcosa che non quadrava nei rapporti diretti con i giudici di Mani Pulite» che, inquisendo i politici, «andavano ben oltre i loro poteri, violando i diritti della difesa». Lo scomparso ambasciatore sostiene di aver fatto cessare quei rapporti.
Che invece continuarono, stando a quando narra Peter Semler, console a Milano, nella sua intervista. Semler si diffonde sui suoi ripetuti, cordiali e confidenziali rapporti con Di Pietro. Tanto confidenziali che l'allora pm avrebbe anticipato al diplomatico l'arresto di Mario Chiesa, prefigurando che presto le manette sarebbero scattate ai polsi di ben altri papaveri democristiani e socialisti. Se fosse vero, si tratterebbe di una palese violazione del segreto d'ufficio, per di più a vantaggio di un rappresentante di Paese straniero. Naturalmente Di Pietro smentisce la circostanza, ma non i cordiali e ripetuti rapporti con Semler e il consolato.
L'importanza di queste interviste (altre ne seguiranno, e abbiamo l'impressione che Molinari si tenga le carte migliori per ultime) sta proprio nella conferma da parte Usa di quel che finora è apparso un rancoroso sospetto dietrologico.
Aspettiamo qualche Wikileaks o qualche altra testimonianza per riuscire a penetrare meglio questi misteri della nostra storia recente. Certo è difficile pensare che gli Usa non abbiano seguito con attenzione il disfacimento di una classe politica che aveva garantito loro un'alleanza indefettibile per oltre mezzo secolo in un paese strategico dell'Alleanza atlantica.
Il punto più problematico però è il seguente: se gli Usa autorizzarono, per dir così, la decapitazione di Craxi e Andreotti ormai caduti in disgrazia e dell'intera Prima Repubblica, perché accettarono che l'azione di Mani Pulite si concentrasse sui partiti di governo limitandosi a sfiorare i nemici di sempre, gli ex comunisti, e il loro sistema di potere basato non solo sui rubli di Mosca ma anche su un gigantesco apparato politico-economico?
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